Oggi, superati i miei primi quarant’anni, mi sento una donna libera, concreta, impegnata ed emancipata; una condizione maturata negli anni senza essere passata attraverso il fenomeno del femminismo, al quale comunque riconosco il merito di avere clamorosamente smontato la tendenza a privilegiare le vere o presunte virtù maschili, ma che ha contestualmente svilito un ruolo fondamentale della donna e cioè negato il valore sociale, interpretato nella veste di moglie e madre. E’ stato fatto passare negli anni un messaggio drogato, per il quale l’essere moglie e madre fosse una condizione d’inferiorità subordinata al maschio. Certo, negli ultimi cinquant’anni il gentil sesso ha dovuto lottare per rivendicare i propri diritti di parità. L’uguaglianza tra le donne e gli uomini, infatti, rappresenta uno dei principi fondamentali sanciti dal diritto comunitario. Ma non è questo il punto. La perdita di questo ruolo nel tessuto sociale, compito che fungeva da raccordo tra la famiglia e la società civile ed educativa, ha creato un senso di smarrimento, un vuoto di memoria in chi la società la determina. Il nostro Paese ha bisogno di esprimere la famiglia come risorsa. La donna ha rinunciato ad un incarico importantissimo per avocare i propri diritti ed uso il termine incarico non a caso, perché all’interno del governo dovrebbe essere istituito un ministero con il ministro delle madri e mogli in carriera e dovrebbe essere istituzionalizzato un incarico di educazione civica affidato alle mamme. La donna ha bisogno di essere aiutata ad una libera realizzazione di sé, senza sacrificare quei ruoli che sono linfe vitali per realizzazione di una collettività CIVILE. Oggi le madri vivono una vita affaticata dalle nevrosi quotidiane, sempre al bivio tra la carriera e la famiglia, frustrate dal senso di colpa e con la prevaricazione comunque di una scelta legata alla carriera. Così ci troviamo con donne che superano abbondantemente i trent’anni, che sentono incalzare il tempo come una campana che suona l’ultima ora, con un sano desiderio di maternità che magari non arriva perché il momento migliore per concepire è superato. Si accaniscono su concepimenti ad ogni costo, fornendo argomenti di discussione su cui la classe politica impegna le proprie energie per legifare - legiferare che cosa poi? Mi chiedo: si può rivendicare il "diventare madre", come un diritto? Perché bisogna forzare la natura? Perché non si possono creare, al contrario, i presupposti affinché tale "prodigio" si manifesti nella donna nel periodo più propizio? Occorre una trasformazione sociale profonda, bisogna mettere in condizioni le coppie di procreare in giovane età e di consentire e garantire alle donne la possibilità di continuare a spendere la propria figura professionale anche dopo essere diventate madri. Come? Attraverso una sorta di gestione autonoma del proprio lavoro. L’importante non è essere presente sul posto di lavoro tutti i giorni della settimana ad orari fissi : l’essenziale è garantire il risultato. Certo, bisogna rivoluzionare un sistema, un modo di pensare, ma va fatto.Il nostro Paese è vecchio, incancrenito in un ordinamento obsoleto. Non si può ignorare la tendenza delle donne a scegliere la carriera, vocazione che ha portato inevitabilmente a gestire l’educazione dei figli attraverso le mani di babysitter. Si impegnano i bambini in sport di tutti i tipi, devono suonare uno strumento, parlare cinque lingue ed eccellere su ciascuna di queste attività per considerare garantito il loro futuro, il tutto svolto nella sfera privata, tra le mura domestiche. Il risultato è che per le strade non si vedono più bande di bambini che corrono tra i vicoli nel tentativo di progettare marachelle o giochi di gruppo, ragazzi che vivano spazi pubblici nei quali scambiare idee, pianificare, organizzare, inventare qualunque cosa che possa essere utile alla collettività e a loro stessi. Non esiste più un senso di appartenenza, non dico alla Patria per non essere anacronistica, ma comune, che nell’era della globalizzazione peraltro, risulta essere una curiosa contraddizione. Questo perché viviamo in assenza di un’educazione alla cittadinanza. Ci vuole una politica formativa per sensibilizzare le generazioni future, già dall’età evolutiva, ad una partecipazione più attiva alla vita pubblica. La formazione del pensiero avviene con la pratica della cultura, attraverso l’esperienza, il confronto, la scoperta delle diversità all’interno della società. L’origine della formazione sociale e politica risiede proprio nella condivisione della realtà in cui si vive. Il senso di appartenenza nasce dalla famiglia, la prima istituzione formativa di una realtà sociale. Questo non è un pensiero conservatore o di destra, è un dato oggettivamente antropologico. Semplificando:la società si forma attraverso piccoli gruppi all’interno dei quali vi è un leader che, catapultato nella società moderna, è la madre. La modernizzazione del nostro Paese deve passare attraverso una rivalutazione del ruolo della madre che deve avere strumenti per rassicurare se stessa nel proprio impiego promuovendo l’evoluzione di una specie, innovativa, funzionale e qualitativa.
Stella Pistone