QUALE SCUOLA PER UNA SOCIETA’ MULTIETNICA? - Numero 33

 

L’anno scolastico è iniziato e purtroppo continua con i soliti problemi che, più si va avanti senza soluzioni, più si incancreniscono fornendo gratuitamente alibi ai facinorosi, a coloro che usano la scuola come una tribuna politica con porcate ( mi si perdoni il termine, ma me ne vengono in mente solo di peggiori) di tutti i generi. Non ultimi i giornalini scolastici , finanziati dalle varie scuole, cioè con soldi della comunità, che sono spesso infarciti di insulti contro il governo, ovviamente il Presidente del Consiglio e per essere più completi, la Chiesa e il Papa. Naturalmente in nome della libertà. Fra i tanti diventa sempre più urgente anche quello dell’integrazione degli stranieri, specie extracomunitari. La questione non è nuova e la scuola italiana la ha sempre affrontata in modo adeguato. Oggi però abbiamo il nodo degli islamici, specie di quella larga fetta di integralisti che delle nostre scuole, della nostra cultura e civiltà non ne vogliono proprio sapere. E’ ovvio che una società multietnica chiede di accogliere i ragazzi in età scolare, ma come si può e deve fare con questi studenti? E’ bene ricordare che In Italia sono presenti, almeno ufficialmente, 611 moschee all’ombra delle quali si stanno radicando altrettante madrasse. Si deve pensare a risposte culturalmente valide e possibilmente guidate dalla ragione. Certamente non come è avvenuto a Milano lo scorso settembre dove l’assessore comunale all’educazione ha proposto di parificare la scuola coranica abusiva di via Quaranta, scuola che è emanazione della moschea nota per i suoi legami con ambienti dell’estremismo islamico. Fondata a metà degli anni novanta da Es Saied Abdelkader, noto capo carismatico della cellula italiana di Al Qaeda, vanta circa 500 iscritti e opera nella più assoluta illegalità, senza alcuna autorizzazione e in locali abusivi. Il corpo docente è costituito da 37 insegnanti di cui 30 arabi di cui non si può controllare né la preparazione, né il titolo di studio. Sappiamo qual è il frutto di questa educazione: trasformare questi adolescenti in "giovanissimi integralisti, le cui menti sono forgiate dalla cultura della segregazione, dell’intolleranza, dello scontro religioso" per ammissione anche di Magdi Allam, vice direttore del Corriere della Sera e studioso di problemi relativi all’area mediorientale e all’Islam. Immediata la reazione e la conseguente marcia indietro dell’assessore. Tanto per capirci: la solita figuraccia e dimostrazione di incapacità. Tutto concluso? Neanche per idea. Il problema è dietro l’angolo, pronto a ripresentarsi, magari in modo più aspro. Mi pare sia più che lecito chiedere a certi Soloni come si può pensare che sia concepibile ripristinare la legalità legalizzando ciò che è fuori legge? Uno stato di diritto applica le leggi esistenti: un’istituzione fuori legge la si chiude. Chi vive nel nostro territorio deve rispettarne le leggi, chiunque sia. Anche i Musulmani devono quindi iscrivere i figli alle scuole dell’obbligo presenti sul territorio italiano, come per altro viene fatto da molti di loro. Questo non significa non riconoscere il diritto ad un gruppo etnico di fondare una propria scuola, ma occorre con molta attenzione e rigore accertare che vengano rispettati i nostri ordinamenti, la sostanza del nostro costume e fornita un’adeguata conoscenza della nostra cultura prima di riconoscere la parità. Questi giovani vanno invece educati in seno a scuole pubbliche dove l’integrazione si costruisce attraverso il rispetto del diverso, la conoscenza dei valori della cultura e della civiltà del paese ospitante. E’ un problema serio e urgente, che va affrontato non solo a livello nazionale ma in una dimensione più ampia: l’accoglienza e le modalità di convivenza fra gli immigrati extra-europei e i cittadini europei e italiani nello specifico. Senza dubbio non può esservi integrazione senza educazione alla legalità e senza sconfiggere il modello di segregazione e di rifiuto della civiltà italiana, europea,occidentale. L’Italia è una nazione che ha una identità culturale, sociale, religiosa e giuridica che la pone all’interno dell’Europa e va al di là dei confini europei. La nostra storia non è etnicista, ma è il risultato della fusione nella civiltà greca, latina e cristiana di etnie diverse. La nostra memoria è pertanto una memoria antica, complessa, esigente, universale. Forte di questa universalità l’Italia può accogliere immigrati di diverse culture e si apre a culture dissimili come quella degli immigrati di religione musulmana. Questo processo richiede un’integrazione che non può essere solo calata dall’alto e si può realizzare solo se la disponibilità delle istituzioni e della popolazione del paese ricevente marciano in contemporanea con l’ esperienza e la pratica quotidiana di coloro che vengono ospitati. Altrimenti nessuna integrazione e nessuna convivenza pacifica e costruttiva sarà possibile. Prima di qualsiasi azione di politica scolastica volte ad affrontare il problema, bisogna però dipanare un nodo. Vogliamo mantenere gli immigrati all’interno della propria cultura con tutte le conseguenze che una sorta di stato nello stato comporta o si deve pensare alla inculturazione dell’immigrato in Italia, alla sua italianizzazione? E’ una scelta politica che ha precisi fini, chiari obiettivi e inevitabili conseguenze. I fatti che sono recentemente successi in Francia ci dimostrano quanto il problema sia serio e non più procrastinabile. Solo se ci presentiamo come una società che ha una chiara e condivisa identità, che ha valori forti e radicati possiamo aprirci a una autentica integrazione di culture profondamente diverse.

Pierangela Bianco