"Sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me". Con queste parole, ormai rimaste famose, Alcide De Gasperi alla Conferenza di pace di Parigi iniziava il suo discorso, dignitoso ma accolto in un clima di freddezza glaciale. Era il10 agosto del 1946 e al Presidente del Consiglio era apparso subito che gli alleati d’Italia, gli ultimi in ordine di tempo, non ci guardavano come degli alleati, come dei vincitori da sedere paritariamente al tavolo delle trattative, ma come dei vinti : i nuovi alleati avevano ricevuto la delegazione italiana facendoli attendere in una sala.La firma definitiva di quel Trattato di pace, un diktat per gli italiani, avvenne il 10 febbraio 1947. Così si consumava per gli italiani una tragedia nella tragedia : le terre d’Istria, di Dalmazia, di Fiume, di parte delle province di Trieste e di Gorizia, nonché Briga, Tenda e tutte le colonie andavano perse. Si apriva per 350.000 italiani fiumani, istriani, dalmati l’odissea dell’esilio, dopo che a migliaia erano morti nelle foibe dei partigiani comunisti di Tito. Il 10 febbraio scorso lo hanno ricordato in tanti, finalmente! Anche il Secolo d’Italia, con un articolo in prima pagina dello storico Luciano Garibaldi. Ma prima di giungere a ricordare il sacrificio dei nostri connazionali lo storico ha narrato come gli italiani fossero stati trattati male dai nuovi alleati; l’Italia "avrebbe avuto pieno diritto di sedersi dalla parte dei vincitori della seconda guerra mondiale, esattamente come la Francia". Una ricostruzione vera, scientificamente precisa, ma con un sottofondo di rimpianto, di dolore che sembrava voler dire : Ma come? Siamo passati dalla vostra parte, abbiamo combattutto contro i nostri fratelli italiani che in nome dell’onore non hanno voluto cambiar bendiera, abbiamo dato vita ad una guerra civile e ci hanno compensato così?. Già, proprio così. Gli alleati avevano strumentalizzato il nuovo regio esercito passato armi e bagagli dalla parte loro, per difendere l’Italia dai tedeschi certo, ma anche combattendo contro quella parte, costituita da italiani, che non avevano voluto arrendersi e cambiar bandiera. Le promesse degli ultimi mesi di guerra erano state presto dimenticate. L ’Italia usciva dalla guerra più umiliata di una nazione sconfitta : ne usciva mortificata, svillaneggiata, senza essere riuscita a convincere inglesi, francesi e americani. Sulle nostre divise c’era l’odore di quell’accusa infamante, anche se comoda per i nuovi alleati : traditori. E come tali, è doloroso dirlo, fummo trattati. E’ una pagina dolorosa, indubbiamente; una pagina scritta col sangue di tanti italiani che si dibatterono tra restare fedele al re e cambiare bandiera o all’alleato e a Mussolini. Un’epopea che segnò divisione nelle stesse famiglie : chi diventò partigiano o militò nel nuovo esercito e chi aderì alla Repubblica sociale italiana di Salò. Noi invochiamo rispetto per gli uni e per gli altri, per tutti, al di là delle scelte, perché tutti credettero di morire per la Patria. Ma colpisce che proprio Il Secolo d’Italia pubblichi un articolo che parla solo degli uni dimenticando gli altri. Dalla fine della guerra abbiamo sempre parlato di pacificazione, abbiamo chiesto sempre rispetto di fronte ai morti, da qualsiasi parte provenissero, stanchi delle esaltazioni a senso unico, dei conteggi di parte, dei martiri che fanno comodo. Oggi è Il Secolo d’Italia che ospita un articolo, indubbiamente scritto in buona fede, che fa dei distinguo o che perlomeno non ricorda "quelli dell’altra parte", quelli che si schierarono dalla parte della sconfitta già chiara a tutti. Anche questa è la nuova politica della Destra italiana? Anche questo serve ad accreditarci? Anche questo è un esame da superare per diventare una destra democratica e moderna?
Antonio F. Vinci