SOMMARIO DELLA SEZIONE:
- LA TRAGEDIA GIULIANO DALMATA
- LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
- LETTERA AL SINDACO DI LATINA
LA TRAGEDIA GIULIANO DALMATA
De profundis
La pietra tombale sulle residue speranze giuliano-dalmate è stata posta a Trieste il 4 novembre, quando il Presidente della Repubblica, concludendo le manifestazioni per il cinquantenario della seconda redenzione e per l’anniversario della Vittoria ha ricordato che Istria e Dalmazia sono "irrimediabilmente perdute". Nulla di nuovo, ma proprio per questo, iterativo, con l’unico effetto di rinnovare un vecchio dolore.
L’affermazione, per la verità, avrebbe potuto essere meno categorica, perché nella storia, che non finisce oggi, le sorprese non sono mancate, e certamente non mancheranno. Nel 1871, chi avrebbe mai pensato che l’Alsazia-Lorena sarebbe stata nuovamente francese in meno di mezzo secolo? Od appena vent’anni fa, che la Germania si sarebbe rapidamente riunificata grazie al crollo del comunismo?
L’idea per cui la cessione di Istria e Dalmazia è irreversibile contiene, peraltro, una contraddizione logica. Se è vero, come vanno sostenendo le forze politiche italiane, che l’ampliamento dell’Europa ha abbattuto i confini e le divisioni tra i popoli, appare anacronistico parlare di "perdite", a prescindere dal fatto che siano irrimediabili o meno.
FELICITA’ ETERNA PER GLI ESULI
Le manifestazioni per il cinquantenario della seconda redenzione di Trieste si sono concluse con un bilancio moderatamente positivo, se non altro per la numerosa e talvolta intensa partecipazione popolare, sebbene fisiologicamente inferiore a quella del 1954. Il movimento giuliano-dalmata, dal canto suo, dopo avere ribadito in forma ben visibile di non poter "alzare il gran pavese" a fronte del sacrificio definitivo dell’Istria, non può esimersi da alcune precisazioni di circostanza.
La prima riguarda la targa installata in piazza della Libertà per ricordare ai posteri il sacrificio dei 350.000 esuli: bene, ma perché non rammentare, prima ancora, quello delle tante migliaia di Vittime innocenti? Dopo tutto, alla cerimonia di scopertura è stata giustamente invitata la Signora Licia Cossetto, sorella di Norma: un Nome ormai assunto a simbolo riconosciuto del martirologio istriano.
Per dirla tutta, non si sono capite nemmeno le ragioni per cui, diversamente da quanto è accaduto per il nuovo cippo di Duino in memoria del vecchio confine col TLT, è stato utilizzato un materiale prodotto nella profonda Croazia, come se la pietra di Aurisina o quella dell’Istria non avessero caratteri estetici e tecnologici competitivi. Forse, anche nella scelta della pietra, al giorno d’oggi bisogna essere "politicamente corretti"!
Ma c’è stato di peggio. Qualche personaggio, dopo avere ridotto a 150.000 il numero degli esuli, ha affermato, come scritto dal massimo quotidiano triestino, che nelle foibe furono gettati i partigiani uccisi dai nazifascisti, mentre altri, come abbiamo udito con le nostre orecchie da un’emittente televisiva, hanno parlato di Trieste, come di città ex-jugoslava (un vero e proprio falso storico, a meno che non si volesse fare riferimento alle "radiose giornate" del maggio 1945, allorché la città di San Giusto fu occupata militarmente dai titini, senza che, peraltro la Jugoslavia avesse potuto estendervi la propria sovranità statuale).
Sta di fatto che, ormai, buona parte delle Organizzazioni giuliano-dalmate, al di là di iniziative indubbiamente meritorie come la mostra di Padriciano sui campi di raccolta dei profughi, non ha la volontà politica, e nemmeno quella morale, di esprimere un’efficace opposizione. Potenza del tempo inesorabile, o forse della legge 72?
A questo punto, ben vengano gli striscioni esposti anche il 30 ottobre allo stadio di Valmaura: i soli, in cui si sia fatto riferimento, senza tanti giri di parole, alla perenne italianità di Istria, Fiume e Dalmazia. D’altro canto, bisogna pur dire che allo stadio di Lubiana non si trascura di rivendicare la slovenità di Trieste. Motivo di più, anche se non saranno in pochi a storcere il naso, per essere grati ai sostenitori dell’Alabarda.
Concludiamo ricordando che, nelle manifestazioni ufficiali, il potere nazionale e locale è stato molto attento a non urtare la suscettibilità di Croazia e Slovenia con riferimenti, sia pure storici, alla tragedia giuliano-dalmata (diversamente da quanto ha fatto il Vescovo, nell’omelia del 3 novembre per la festa di San Giusto, con una sensibilità cristiana di cui è doveroso dare atto). Al contrario, si sono sprecati i riferimenti al cosiddetto "allargamento dell’Europa" verso Est, da cui gli esuli, peraltro, non potranno trarre alcun vantaggio materiale, perché i beni a suo tempo nazionalizzati rimarranno croati o sloveni; e quel che più conta, nemmeno alcun riconoscimento etico-politico, perché si sosterrà che le foibe non esistono, od al massimo, che furono l’effetto di una "giusta" reazione ai "crimini" degli italiani.
In compenso, il sacrificio della verità, e di ulteriori erogazioni finanziarie dell’Europa a Lubiana e Zagabria, col beneplacito italiano, consentirà alle nostre imprese, qualora siano capaci di battere la concorrenza, di costruire qualche autostrada e di vendere qualche macchina in più, per l’eterna felicità del popolo giuliano-dalmata.
Carlo Montani
LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Signor Presidente,i patrioti triestini e gli esuli giuliano-dalmati esprimono a Lei, nella Sua qualità di garante dell’unità nazionale, il più cordiale ringraziamento per aver voluto attestare l’adesione della Patria di tutti gli italiani alle celebrazioni per il cinquantenario della seconda redenzione di Trieste. Il Suo gesto di impegnata sensibilità umana è per noi motivo di conforto, in una congiuntura politica che è stata, per troppi anni, negatrice dei valori di civiltà e di giustizia in cui da sempre ci riconosciamo.
La storia giuliano-dalmata è caratterizzata da una costante coartazione delle nostre attese: la perdita della zona "B", il totale cedimento di Osimo, la negazione del diritto degli esuli ad un indennizzo veramente equo, il riconoscimento gratuito delle nuove Repubbliche ex-jugoslave, la subordinazione alle pretese di Croazia e Slovenia circa le restituzioni dei beni a suo tempo nazionalizzati.
La "cupidigia di servilismo" che Benedetto Croce evidenziò con nobili parole quale concausa del "diktat" nella discussione parlamentare per la ratifica del trattato di pace del 1947 non costituisce una novità nella storia italiana, ma si è tradotta in fatti particolarmente dolorosi, proprio nella vicenda giuliano-dalmata. A più forte ragione, Signor Presidente, Le siamo grati per il nobile sforzo di cui Ella si è fatto carico, allo scopo di recuperare il senso dello Stato, il sentimento nazionale, e l’amore per la nostra gloriosa bandiera.
In questa ottica, confidiamo con rinnovate speranze nel Suo impegno, affinché le relazioni con Croazia e Slovenia siano improntate a principi di effettiva parità, in cui possano trovare spazio il riconoscimento di specifiche responsabilità storiche, ben presenti nella Sua consapevole memoria, e la tutela di diritti ed interessi legittimi di Trieste, e del mondo degli esuli. Del resto, Zagabria e Lubiana, nel quadro del nuovo spirito europeo, al quale affermano di volersi ispirare, hanno il dovere di disattendere ogni anacronistica ed antistorica rivendicazione, e di riconoscere il diritto degli esuli ad un ritorno stabile, ed alla fruizione dei beni nazionalizzati dal vecchio regime.
Dal canto suo, Roma non può ignorare il nostro "grido di dolore": le medaglie commemorative, le Giornate del Ricordo e le celebrazioni sono un fatto positivo ma debbono essere integrate da provvidenze specifiche per la città e la provincia di Trieste e da una soluzione equa e definitiva del problema dei beni, prima che l’oblio scenda sul sacrificio di 350 mila esuli e sul sangue di 20 mila Vittime.
I Governi della Repubblica italiana, pur con diverse sfumature e connotazioni formali, hanno sempre perseguito la tradizionale politica del "sedare e sopire", nell’ambito di un attendismo non certo commendevole, in primo luogo sul piano etico. Dopo tutto, Venezia Giulia e Dalmazia sono le regioni che hanno pagato il prezzo più alto anche in termini di vite umane, oltre che di sacrifici territoriali, a seguito delle vicende belliche.
Proprio per questo, Signor Presidente, Le esprimiamo la commossa preghiera perché si faccia interprete dei nostri sentimenti e delle nostre attese presso la volontà politica. Come recitava l’antico saggio, "sanctus amor patriae dat animum": e Lei, di questo amore, ha voluto fare la priorità della Sua suprema Magistratura. Grazie, Signor Presidente.
Per un gruppo di triestini ed esuli
Carlo Montani
LETTERA AL SINDACO DI LATINA
Pubblichiamo la lettera che Laura Brussi, esule da Pola, e in rappresentanza di un gruppo di giuliano-dalmati, ha inviato al sindaco di Latina.
Sig. Sindaco Zaccheo,
le scrivo nella mia qualità di cittadina del nostro Comune e di esule dalla Venezia Giulia fin dal 1947.
Ho avuto notizia delle iniziative di gemellaggio avviate dalla Sua Amministrazione con Soggetti sloveni, ed in particolare con Nuova Gorizia (Nova Gorica) e Bainsizza (Bajsinie). La cosa mi ha sorpreso negativamente, perché non riesco a comprenderne le ragioni istituzionali o politiche. Considerazioni analoghe valgono per altri amici e conoscenti, giuliano-dalmati e non.
Comprendo che noi esuli soffriamo per antiche ferite mai sanate e che la nostra sensibilità può sembrare superiore alla media, ma vorrei capire perché, dopo il gemellaggio con Palos de la Frontera, da dove il grande Colombo salpò alla scoperta del Nuovo Mondo, si vogliano programmare quelli con la Slovenia, che nella nostra memoria storica è associata a dolori e persecuzioni inenarrabili, e che ancor oggi si sottrae, pur essendo membro dell’Unione, al riconoscimento della verità e persino a ragionevoli intese sull’amara questione dei beni a suo tempo nazionalizzati (al pari della Croazia).
Avrei avuto minori difficoltà se il gemellaggio fosse stato previsto con qualche nucleo urbano di Libia, Eritrea o Somalia, a noi più vicino, se non altro, per comuni esperienze di bonifica. Ci sarebbe solo l’imbarazzo della scelta.
Spero di essere male informata, ed in ogni caso confido nella possibilità di una riconsiderazione di questo progetto, in ordine al quale, peraltro, mi riservo di intervenire più diffusamente, se necessario, anche sulla nostra stampa.
Sono certa che Lei non mancherà di valutare con attenzione le nostre preoccupazioni, improntate, come potrà facilmente immaginare, soltanto ad una questione morale.
Laura Brussi