I no global e gli "occhiali marxisti" - Numero 14

SOMMARIO DELLA SEZIONE:

  • I NO GLOBAL E GLI "OCCHIALI MARXISTI"
  • NO GLOBAL A FIRENZE: INUTILE SFIDA?


    I NO GLOBAL E GLI "OCCHIALI MARXISTI"

    Goethe scriveva, all’inizio dell’Urfaust: "Ohimè, ho studiato a fondo… ed eccomi qua che ne so quanto prima!… e scopro che non riuscirò mai a saper nulla". Lo stesso sentimento ci assale quando cerchiamo di approfondire il fenomeno globalizzazione. Rende più o meno ricchi i Paesi poveri? Conviene solo all’Occidente o, alla lunga, anche al Terzo Mondo? Ci porta verso il migliore dei mondi possibili o un "altro mondo è possibile"? Domande, riflessioni, dubbi. Gli stessi numeri e dati spesso sono interpretati in maniera opposta: "Il Pil nei Paesi del Terzo Mondo aumenta, dunque quelle popolazioni vivono meglio". "No - si replica -, aumentano solo le disuguaglianze tra ricchi e poveri". E ancora: "Per migliorare la situazione ci vuole più globalizzazione". "Macchè, ce ne vuole meno". La confusione impera, almeno per chi voglia cercare di capirne qualcosa senza pregiudizi di partenza. Sì, perché coloro che hanno salde (aprioristiche?) convinzioni non incorrono nel dubbio. Gli ultraliberisti, anche di fronte alle più grandi ingiustizie del mercato, si accontentano di un’alzata di spalle. I no global si inalberano, protestano, sfasciano tutto. Poi, se gli chiedi quali siano le soluzioni alternative, si rifugiano nel regno di Utopia. Se insisti, se chiedi qualche idea più concreta, si scocciano: "Noi siamo qui per protestare, mica per governare". Appunto. Che fare? Se - lo confessiamo - capire tutte le conseguenze della globalizzazione ci risulta improbo (visto anche l’aiuto di certi "esperti" politici e massmediali) la migliore cosa da fare è riflettere. Porre e porci qualche domanda. Che forse rimarrà senza risposta. Lo sforzo però va fatto. Se non si arriverà alla verità, almeno si riusciranno a smascherare le bugie più palesi. E le falsità e le strumentalizzazioni sul fenomeno globalizzazione purtroppo non mancano. Ripartiamo da Seattle, dove nacque il movimento antiglobalizzazione. Mentre i black bloc inauguravano i loro assalti ai McDonald’s, nell’assemblea del Wto si discuteva di diritti per i lavoratori del Terzo Mondo, quelli "sfruttati" dalle multinazionali occidentali. L’allora presidente statunitense Clinton proponeva uno statuto di labour standars, una sorta di legislazione per garantire i diritti dei lavoratori poveri. Niente più bambini che cuciono i palloni per pochi dollari, con turni di lavoro massacranti. Niente più aziende che si trasferiscono in India, in Cina, in Romania perché lì il lavoro "non costa nulla". Diritti sociali che diventano globali. Fantastico, secondo i canoni di qualunque occidentale che tenga ai diritti sindacali minimi. Sapete chi ha rifiutato di firmare quegli accordi? I Paesi del Terzo Mondo. Proprio così. Non gli occidentali "affamatori", ma gli "sfruttati". Perché? Questi Paesi (India e Pakistan in testa) - spiega Paolo Del Debbio - "temono un uso nei loro confronti di questi standard non tanto per ragioni umanitarie, che non potrebbero non accogliere (soprattutto in ambito internazionale); quanto per usi nascostamente protezionistici, cioè per impedir loro l’esportazione di prodotti a prezzi pur legittimamente concorrenziali". Guardando al di là della superficie apparente delle cose, si scopre l’inaspettato. I Paesi del Terzo Mondo preferiscono "restare sul mercato", piuttosto che uscirne. E rimanere poveri. Ma allora, vien da chiedersi, i no global per chi parlano? Non certo per chi credono di rappresentare. E, a proposito di rappresentanza, la cosa si fa imbarazzante se si discute di agricoltura. Josè Bovè, il contadino no global francese tra i leader del "movimento" chiede la tutela dei prodotti agricoli europei. Posizione legittima. Ma sapete qual è una delle cause più gravi della fame nei Paesi del Terzo Mondo? "I sussidi - sottolinea Gianni Riotta sul Corriere della Sera - che i Paesi ricchi concedono, in cambio di voti, alla propria agricoltura". Da che mondo è mondo questo si chiama "protezionismo". Gli Stati Uniti e l’Europa tentano di evitare la globalizzazione totale, che metterebbe parte della propria economia in difficoltà. Le conseguenze sono positive per i Paesi poveri? Tutt’altro. "Quando infatti l’Unione Europea ha approvato nuovi sussidi alla produzione di zucchero - continua Riotta -, le cooperative agricole delle donne povere in Senegal hanno chiuso i battenti, disperate". Chi rappresenta allora Bovè? Gli "egoisti" europei o i "disperati" africani? La risposta ci appare scontata. Tutte queste considerazioni vengono però offuscate dall’ideologia no global, che libri, televisioni e giornali amplificano molto spesso acriticamente. Basta infatti che Bovè vada all’assalto di un McDonald’s per sembrare un amico dell’umanità. "Se è contro gli States, sicuramente sarà un filantropo": questo il riflesso pavloviano degli antiglobalizzatori. La realtà, però, come si è visto, è diversa. Ma, in fondo, ai no global cosa interessa? Loro sono lì "per protestare, mica per governare". Se i processi di globalizzazione possono servire ad aprire un circuito virtuoso di ricchezza anche per i poveri del Terzo Mondo, tutto ciò è secondario, visto che di mezzo ci sono gli Stati Uniti. I Paesi poveri vogliono stare nel mercato e raccogliere i primi frutti per loro positivi della globalizzazione? "Ma va là, non sanno quello che fanno", pensano gli arroganti no global. "Dovunque è andata l’America ha portato sfruttamento, guerre". "Yankee go home!". Se i rappresentanti dei Paesi poveri cercano di spiegare che quasi quasi è meglio lo sfruttamento della miseria perenne, i no global si indignano: "State zitti, sottosviluppati!". Sanno loro come portare il Paradiso in terra in tutto il mondo. Come? Ma è chiaro: sventolando le bandiere del Che Guevara; leggendo i libri del "cattivo maestro" Toni Negri; organizzando la guerriglia per le strade. Bandiere già sventolate, ideologi già ascoltati, azioni di lotta già viste. Quando? Ma naturalmente negli anni "formidabili" della contestazione sessantottina. E nei tragici (soprattutto in Italia) anni Settanta. "Bugie, il nostro è un movimento nuovo!": già le sentiamo le critiche dei no global. Eppure il loro nemico è lo stesso: il capitalismo, oggi in forma globale. Lo spauracchio lo stesso: gli Stati Uniti d’America. Le icone le stesse: Che Guevara, Toni Negri. Con l’aggiunta della giovane Naomi Clein, le cui idee però ci appaiono assai datate. Gli amici, gli stessi: i Paesi del Terzo Mondo, antidemocratici e terroristi, Palestina in testa (la kefiah non passa mai di moda). Manca all’appello solo l’Unione Sovietica, ormai defunta dal 1989. Basta questo breve parallelo per capire che il filo rosso che lega i movimenti di allora a quello attuale è sempre lo stesso: il comunismo, il marxismo, il terzomondismo di sinistra, il pacifismo a senso unico (cioè antiamericano). La storia qualche volta non è maestra di vita. I no global purtroppo lo dimostrano. E per questo li "invidiamo": che bello non far tesoro dei propri errori, che bello far finta che nulla sia successo, che bello continuare a leggere libri già letti. Che bello rifare guerriglie già raccontate dai padri. Noi invece ci ostiniamo a rimetterci in gioco ogni giorno, lavoriamo senza aspettare sussidi statali, l’unica guerriglia che facciamo è quella sui giochi elettronici. Tutto ciò in fondo costa fatica, fa riflettere, è difficile da sopportare. Come sarebbe più bello avere la verità in tasca, parlare con arroganza, giocare a fare gli antagonisti anche di se stessi. Poca fatica, più certezze. Ma noi non siamo fatti per questa "bella" vita. È il nostro tormento e la nostra felicità. Facciamo tesoro della lezione di Goethe. Ma anche di quella del grande economista Werner Sombart, che scriveva: "Chi si toglie per un istante gli occhiali marxisti rimane dapprima abbagliato dalla ricchezza del mondo e scorge un variopinto gioco di forze, dove prima aveva visto un uniforme, monotono grigiore".

    Massimiliano Mingoia


    NO GLOBAL A FIRENZE: INUTILE SFIDA?
    Nuove strategie per vecchia storie nel Social Forum dominati dai neo comunisti.

    Il sipario è calato sul Social Forum che ha, letteralmente, investito una Firenze terribilmente deserta, vuota e spaventata come mai si era vista dai tempi della guerra. Prudentemente alloggiato in un area esterna del capoluogo toscano, Lastra Signa, ho raggiunto quotidianamente il centro cittadino in taxi, uno dei pochi che trovavo disposto a portarmi nell’area della manifestazione nella speranza di non rivedere le terribili scene da inutile guerra civile della Genova del 2001. Carlo Giuliani e il ricordo della sua morte violenta, dicevano alcuni, è stato "cancellato" o meglio "sublimato" dal pacifico svolgersi della manifestazione che ha visto centinaia di migliaia di persone presenti che sembravano usciti da film quali Hair nel loro singolare neo-hippysmo modaiolo che vuole mettere, anche con la violenza, fiori nei cannoni di non si sa ben chi. Come durante il periodo dell’intervento americano nel Vietnam, anche qui la gente sfilava e cantava, si fumava un enorme quantitativo di droga, si discuteva sul "sesso degli angeli" senza ovviamente arrivare a una qualsiasi soluzione dei problemi che attanagliano il mondo. Un cartello, reso noto dai Media, tra i tanti che si potevano leggere era simpatico quanto assurdo e suonava come " I giovani non fanno più l’amore" e tra gli infiniti luoghi comuni ( non di qua non di là...) che ho letto e sentito era il più intelligente: meglio quest’assurdità dei tanti figli di papà travestiti da dubbi ribelli ( e tra qualche anno irriconoscibili dietro la scrivania dell’Azienda del genitore in tutt’altro ruolo dirigenziale ...) con le loro kefiah che inneggiavano ad una Intifada e a una Palestina "Libera" e "Islamica" o di chi rispondeva alle mie domande sul perché e sul come con frasi stonate come un rap di Lorenzo "Dalai Jovannotti" Cherubini in bilico tra il Che e il Papa, tra Demonio e Santità ma sempre con un occhio alla stella rossa che fa tanto tendenza oltre che portafoglio. Questa manifestazione, che di certo ha sollevato coloro che si aspettavano un altro esempio di guerriglia urbana, ha anche dimostrato l’estrema docilità e la dipendenza di queste masse agli "ordini" palesi ed occulti di chi li manovra e cioè quello strano miscuglio ideologico tra neo-comunismo, marxismo all’acqua di rose, leninismo e maoismo retrogrado tipico di coloro che, ciechi dinanzi al fallimento palese di tali ideologie, desidera a tutti i costi un nemico da combattere per mantenerle in vita. Che sia poi una distopia è irrilevante. La "Lotta di Classe" che tanto ha straziato la nostra Italia è un vero e proprio rimpianto tra i comunisti di ieri come Bertinotti o Cossutta e i disobbedienti che pare a questi obbediscano molto volentieri. E se qualcuno si illude che basterà il loro servizio d’ordine, efficiente come non lo si poteva immaginare nella Genova del G8, si tolga quest’idea dalla testa: il Masaniello veneto Casarini ha già dichiarato pubblicamente che la tranquillità che ha imperato quasi totalmente nella città di Firenze altro non è stata che una semplice tregua e che la prossima volta sarà forse differente. A cosa è servita una manifestazione tanto triste quanto un Festival di Rifondazione? A nulla, ovviamente. I fiorentini si sono barricati in casa, i negozi erano chiusi e i partecipanti hanno dimostrato non agli altri bensì a se stessi e, al limite, ai Media che da una parte volevano il sangue per la strada e altri che obbedivano al "diktat" dei caporioni che avevano optato per un pacifismo di maniera. E la guerra? L’unico a mio avviso che avrebbe potuto avere il sacrosanto diritto a dichiararne l’orrore era Gino Strada di Emergency che a suo tempo avevo conosciuto e che purtroppo ha preferito scendere a patti con i più tristi luoghi comuni pur di mantenere la sua struttura, nobilissima e rara, all’interno di quei binari che forse oggi ne hanno fatto un altro servo di quei padroni occulti che spesso e volentieri ci sforziamo di non vedere. Sua Santità il Dalai Lama Tenzin Giatsò che ho avuto l’onore e il piacere di conoscere mi disse una frase che per lui è un fondamento politico terribile quanto realistico e quindi necessario: la Pace è un percorso luminoso che deve necessariamente avere due parti mentre diventa resistenza quando solo una di queste la desidera. Nulla di più terribilmente vero e detto da un uomo che ha vissuto sulla propria pelle l’imperialismo comunista che fece pagare a carissimo prezzo il desidero di pacifica convivenza del Tibet ma che mai i "ribelli di ieri e di oggi" si sono mai sognati di tutelare, proteggere nè tantomeno manifestare. E la guerra, come sempre la Storia purtroppo ci insegna, continua e continuerà con i suoi maledetti tragici epiloghi di morte e distruzione ma per loro, per questi falsi ribelli tutti casa e Centro Sociale ci sarà sempre una differenza: le guerre degli altri sono e saranno sempre contestabili, le loro e quelle dei loro alleati e padri no. E allora la cosa cambia e di parecchio: perché non ci sono state manifestazioni del genere per le stragi della Cambogia di Pol Pot, per lo sterminio dei Tibetani, per i genocidi dell’ URSS, per l’invasione dell’Afghanistan da parte dei comunisti di Mosca? Perché quando il precedente governo di sinistra annunciò, in accordo con un’ opposizione costruttiva come non mai e coerente con sé stessa, l’offensiva contro la Serbia che vedeva l’Italia in un ruolo logistico fondamentale, perché nessuno ha manifestato granché? Perché le bandiere della Sinistra non hanno sventolato al vento di manifestazioni "oceaniche" tra tamurelli e arghilè puzzolenti cercando una pace che non lo è mai se è solo univoca? Perché anche i No Global sono esempio contraddittorio di una "moda" politica e di una cecità rara, un misto tra business inconsapevole e illusione, voglia di trovare qualcosa a cui aggrapparsi per non morire di una depressione voluta dall’evidente fallimento delle loro stesse idee al punto di manifestare un pensiero che non gli appartiene e che non serve a nulla. Alla fine, terminate le passeggiate e riposte le bandiere con la stanca faccia del Che, spenti gli amplificatori dei concerti e fugati dal vento i fumi delle "canne" è rimasto quello che troviamo dopo una qualsiasi partita di calcio o esibizione live di qualche megastar della musica Pop: rifiuti dappertutto, pisciate contro i muri, scritte in ogni dove, qualche vetro rotto e tanta tristezza. E tanto per citare quella Fallaci che gli islamici vorrebbero lapidata sulla pubblica piazza e i suoi ex amici comunisti bruciata sul rogo dell’eresia mi vengono in mente quelle brucianti parole di quella blasfema preghiera che dicevano i soldati americani in Vietnam " Perché non serve a niente, non è mai servito a niente. Niente e così sia".

    Fabrizio Bucciarelli