L'Italia cambia - Numero 53

 

L’Italia cambia… Cambia l’italiano medio: cambiano le sue abitudini in tempo di crisi, cambia il suo modo di pensare, di essere. E non aspettiamo che ce lo dica l’ISTAT : basta guardarsi attorno. Ovviamente non parliamo dei cambiamenti epocali e delle tragiche conseguenze di chi perde il posto di lavoro. Parliamo, invece, delle piccole abitudini, del modo di essere e di vivere, dell’italiano medio. Quel piccolo borghese che è stato ben descritto tante volte dalla "commedia all’italiana", dai film di Sordi e Tognazzi, dai tanti siparietti televisivi sempre in voga. Ormai non siamo più, e da un pezzo…, un Paese di santi, di navigatori, ecc. ecc.. ma, ma …siamo diventati un popolo che non crede più in nulla. Una volta ci si sposava in chiesa, ora non più : prima si convive, si fa la prova, poi si vede …Ovviamente se ci si sposa dopo anni di convivenza è di regola l’abito bianco! Alla faccia del non conformismo! Una volta si scommetteva su chi vinceva lo scudetto. Ora si fa prima : scommettono gli stessi giocatori …magari, con qualche "aggiustatina" sulla partita. Anche se gli italiani restano fedeli al loro ruolo di direttori tecnici, di allenatori, di inguaribili commentatori del lunedì mattina …Sventolio di bandiere, tifo stellare, litigi con il vicino interista o milanista o juventino …e il calcio, quello giocato, affonda in un mare di melma… Lo stadio poi è diventato spesso luogo di risse, di cori razzisti, non più luogo di divertimento e di sport. Gli italiani non consumano più come prima. Le cifre parlano chiaro : siamo tornati in una situazione simile al tempo della grande depressione del 1929 e le famiglie in pochi anni hanno perso circa il 10% del loro reddito. Consumiamo di meno, produciamo di meno, siamo sicuramente meno felici ( o incoscienti?). Signori : si cambia! E si cambiano anche abitudini inveterate : meno vestiti, meno uscite a mangiar la pizza, meno ferie. Insomma la crisi ci ha fatto cambiare, ma non solo negli acquisti, non solo nelle spese. Dove invece non cambiamo è nell’essere sempre convinti che la colpa - dalla crisi economica al cartello stradale di stop non rispettato, dall’insufficienza ottenuta a scuola a qualsiasi piccola questione quotidiana - sia sempre e comunque degli altri, chiunque siano gli altri. I sacrifici? Devono farli gli altri. La politica? Hanno colpa gli altri, quelli del partito avverso… Anzi oggi impera l’antipolitica e quindi i politici sono tutti da cancellare. Mi piacerebbe che questa crisi (non certo la prima e non certo l’ultima) riuscisse veramente a cambiarci. A farci più seri, più consapevoli, meno superficiali. Mi piacerebbe che gli italiani dopo secoli di attese deluse -sotto qualsiasi padrone, francese, austriaco, spagnolo - capissero che gli aiuti non possono venire né dal potere centrale né da altri, e che le colpe possono essere anche nostre, e che bisogna "rimboccarsi le maniche", farcela da soli, crederci. Siamo sempre stati il Paese dell’ "aiutino", di "una mano lava l’altra", del "tengo famiglia", della raccomandazione. Cambieremo mai? Probabilmente no, ma questa crisi è forse l’ultima occasione. Intanto la situazione odierna ci ha fatto capire - anche se ne avevamo il sospetto … - che il denaro domina il mondo; la speculazione finanziaria e non gli ideali fanno la storia; l’interesse, il piccolo come il grande, muove le cose, non i valori. Ma questo non vuol dire che ciò sia giusto. E’ giunto il momento in cui, senza retorica per carità, si faccia una rivoluzione copernicana, si rimediti sul senso della vita, sul senso dell’importanza delle cose, cui va dato il giusto valore. E’ giunto il momento di capire che non siamo soli sulla faccia della Terra ma che lo sguardo comunitario, l’attenzione agli altri, il tendere la mano può e deve essere il nostro nuovo cammino. E per far questo è sufficiente partire dalle piccole cose quotidiane.

Giosafatte