“Populista”: questo epiteto sta prendendo sempre più piede al posto dell’ormai un po’ stantio “fascista”. Partito dalla Russia della fine dell’Ottocento ad indicare un movimento politico che trovava nel mondo contadino la sua ragion d’essere, il termine è giunto sino a noi, con una connotazione sostanzialmente negativa. Dare del “populista” significa essere un po’ demagogo, cavalcare l’onda, “parlare alla pancia della gente”. Quest’ultima è un’altra espressione poco felice. Che significa parlare alla pancia della gente? Toccare le corde dell’emotività? Ma allora meglio sarebbe dire “parlare al cuore della gente”. Ma, si sa, il cuore è organo nobile, sede dei sentimenti, dell’amore e quindi si riferisce a qualcosa di elevato, di poetico, di sentimentale. Parlare invece di pancia evoca i “mal di pancia” politici, quelli dei morsi della fame, dei sommovimenti intestinali con note e non piacevoli conseguenze … Così il nostro vocabolario politico si muove tra termini ed espressioni che vogliono colpire l’avversario, depotenziarlo, privarlo della sua carica dirompente. C’è chi, però, di essere populista se ne fa un vanto. Paolo Del Debbio, giornalista, noto al grande pubblico per essere conduttore televisivo di successo, ha scritto un libro dal titolo “Populista e me ne vanto”. E qui svela il vero significato del “suo” populismo : andare incontro alla gente, parlare con la gente, sentire quello che la gente ha da dire. Certo il mezzo televisivo è una gran cosa e l’atteggiamento di Del Debbio, che non si è chiuso nei salotti con politici da intervistare, ha ottenuto successo. E’ populismo, quindi, sentire chi non ha occasione di dire la sua? E’ populismo dare voce a chi non ce l’ha?
E per rappresentare gli interessi più autenticamente popolari ci vuole un leader che sia carismatico, vicino al popolo e non ai Palazzi, pur nel diverso modo di presentarsi e di comunicare. E quindi facile riesce identificare il leader populista in Bossi, Berlusconi, Grillo e lo stesso Renzi, pur nella diversità dello stile. D’altra parte assistiamo sempre più chiaramente al disinteresse della gente per la politica, la freddezza nei confronti di essa, il disinteresse, il non sentirsi sufficientemente rappresentati e la disaffezione, l’antipolitica, che tocchiamo con mano dalle percentuali sempre in discesa di coloro che vanno a votare. Allora l’opposizione e il rinnovamento si fa con atteggiamenti populistici. Più corretto sarebbe, però, a questo punto dire popolari. Populista è quindi chi inganna con false promesse il popolo, chi lo accarezza per averne il consenso e poi tradirlo; popolare è invece chi lo ascolta, chi proviene da esso, chi guarda al popolo che, in democrazia, piaccia o non piaccia, è sovrano, l’unico titolato a parlare, a rivendicare diritti, ad essere rappresentato. Ed anche qui : non cadiamo in un atteggiamento “populista” … o qualunquista. Il popolo è … tutto il popolo; non è una parte di esso; non è solo il proletariato, o la borghesia, o i giovani, o gli anziani. E’ quella comunità legata dalla tradizione, dalla stessa cultura, dalla stessa storia, che si riconosce in un’identità.
Proprio quella identità che stiamo perdendo.
Giosafatte