SOMMARIO DELLA SEZIONE:
- RICORDARE PURCHE’...
- 25/04/1945 - FU VERA GLORIA?
RICORDARE PURCHE’...
L’iniziativa dell’assessore Paola Frassinetti di intitolare a Sergio Ramelli l’Aula Magna del Liceo classico Carducci di Milano ha suscitato prevedibili, vivaci e spesso faziose polemiche. Qualcuno ha avuto la faccia tosta di parlare di "lottizzazione di vittime" ( sen. Fiorello Cortiana dei Verdi) dopo che proprio a Milano nel 2001 è stato intitolato un Istituto tecnico a Claudio Varalli. Chi era Varalli? Un giovane di 27 anni, militante del Coordinamento dei comitati antifascisti, che fu ucciso da un militante di destra che egli aveva aggredito e che ebbe il torto di difendersi in maniera senz’altro eccessiva, visto che fu condannato per eccesso di legittima difesa, ma dopo essere stato attaccato. Lui sì è degno di essere ricordato, è giusto intitolargli una scuola. Chi era Sergio Ramelli ? Un ragazzo di 18 anni morto il 29 aprile 1975 dopo 47 giorni di agonia perché 10 militanti di Avanguardia Operaia lo attesero sotto casa e gli spaccarono la testa a colpi di chiave inglese. 10 contro 1: che eroi ! Ma Ramelli era colpevole di essere un militante del Fronte della Gioventù, quindi indegno di essere ricordato. Viviamo in uno stato democratico e perciò godiamo di libertà di pensiero, di parola, di opinione politica, che diamine! Ci sentiamo quotidianamente ricordare dalle massime autorità dello Stato e della Chiesa che bisogna lavorare per la pacificazione, che bisogna ricordare perché non succeda più. Appunto. Si faranno sentire le autorevoli voci o taceranno come troppo spesso hanno fatto di fronte al politicamente scorretto? Il fatto è che i morti non sono tutti uguali: ci sono quelli di sinistra buoni e santi comunque e a prescindere, quelli di destra colpevoli e non degni di essere ricordati sempre, comunque e a prescindere.
Sinistri di ieri, di oggi, con varie maschere o a viso scoperto, ditelo chiaramente, abbiate il coraggio almeno delle parole! Un docente del Carducci, capofila della contestazione, ha dichiarato fra l’altro che "la scuola non è un cimitero". Quante scuole conoscete intitolate a dei vivi? E’ lecito chiedere ai contestatori perché è giusto che a Varalli si dedichi una scuola e a Ramelli nemmeno un Auditorium? La verità è che la scuola è tristemente lottizzata da una sinistra che spesso e volentieri è stata ideologa o addirittura protagonista di violenze in nome dell’ideologia, di una sinistra pronta alla condanna se le aggressioni erano di destra, ma egualmente pronta a giustificare, approvare e condividere se erano di sinistra. Ora la storia si ripete, cambia, a volte, la forma, ma resta intatta la sostanza. Tutti possiamo aver sbagliato, aver creduto in qualche cosa che si è poi rivelato cieca e bieca violenza, ma adesso occorre prendere le distanze e condannare chiaramente se si vuole davvero voltare pagina. Di fronte all’assassinio o si condanna o si è conniventi.
Personalmente sono molto lontana dalle idee di Varalli e di Ramelli. Inoltre ritengo che le scuole vadano intitolate ad esponenti della storia, della cultura, delle scienze, uomini che si sono distinti per meriti riconosciuti e che hanno un valore educativo e culturale per gli studenti che frequentano quell’istituto Per questo non condivido la decisione dell’assessore Frassinetti. Però o si cambia nome all’Istituto tecnico Varalli o ben venga l’Auditorium Ramelli. Gli anni di piombo sono stati una triste pagina della nostra storia, funestata da troppe vittime. Prima o poi occorrerà far luce sulle responsabilità, su chi e perché ha creato tanti morti, disseminato tanto odio e creato tanti guasti nella nostra società. Dal giudizio che ne diamo, dalla onestà intellettuale che abbiamo nel porci di fronte a queste vicende e nel condannarle senza se e senza ma si vede chi siamo realmente.
Chi accetta l’Istituto Varalli e condanna l’Auditorium Ramelli o è accecato dall’ideologia, o è in malafede o sfrutta in maniera politica un atto di pietà e di equilibrio politico che Milano doveva compiere dal 2001. Evidentemente è rimasto con la mente e la coscienza a quegli anni, ma è diventato così vigliacco da nascondersi dietro false motivazioni.
Pierangela Bianco
25 APRILE 1945
Fu vera gloria?
Avendo dei figli giovani, sono rimasto sconcertato nel leggere il racconto dell’ex capo partigiano Giovanni Pesce che, sul quotidiano "La Prealpina" di Varese del 22 aprile scorso, ha rievocato le sue gesta di combattente per la libertà rivendicando, con malcelato orgoglio, omicidi e attentati.
Non capisco cosa vi sia da vantarsi nell’assassinare alle spalle un uomo in divisa o compiere un sanguinoso attentato dinamitardo per poi fuggire, con il volto celato da un passamontagna, a gambe levate e lasciare ad altri le conseguenze dei propri atti.
Pensavo che alle giovani generazioni bisognasse insegnare la lealtà, l’eroismo e il coraggio di affrontare il nemico ad armi pari secondo le regole, non dico della cavalleria, ma perlomeno di guerra. Invece per questi personaggi i valori da diffondere sono evidentemente altri.
Gli italiani che seguirono Mussolini anche nella cattiva sorte si batterono, nella Repubblica Sociale Italiana, inquadrati in un esercito o nelle varie milizie, sempre con il volto scoperto e perfettamente riconoscibili, consapevoli che così facendo esponevano se stessi e i loro familiari alla vendetta partigiana (infatti, furono migliaia, dopo la guerra, i genitori, i fratelli e i figli di fascisti giustiziati dai liberatori, come ampiamente documentato nell’ormai famoso saggio di Gianpaolo Pansa "Il sangue dei Vinti" - Ed. Sperling & Kupfer, Milano 2003).
I partigiani, invece, pur potendo vestire anch’essi una divisa, quella del regio esercito di Badoglio che affiancava le truppe angloamericane, preferirono la tecnica della guerriglia e del mordi e fuggi, sicuramente meno rischiosa ma più devastante nelle conseguenze. Gli attentati alle truppe tedesche in ritirata furono, infatti, pianificati al solo scopo di suscitare la reazione tedesca, che fu quasi sempre durissima e disumana (vedi la strage nazista delle fosse Ardeatine, conseguenza dell’attentato partigiano di Via Rasella).
Ho molto rispetto per chi mette in gioco la propria vita per un ideale, qualunque esso sia, ma mi viene difficile nutrire lo stesso sentimento verso chi, per puro calcolo politico (sedersi al tavolo dei vincitori per spartirsi il potere); ha trasformato una lotta tra eserciti in una sanguinosa guerra civile dove a pagare sono stati, al di là della retorica resistenzialista che ci assilla da sessant’anni, tutti gli italiani.
Gianfredo Ruggiero