SOMMARIO DELLA SEZIONE:
- FESTA DELL’EQUINOZIO: UN EVENTO DI CULTURA
- QUANDO LA SCELTA ERA IN NOME DELL’ONORE
FESTA DELL’EQUINOZIO: UN EVENTO DI CULTURA
Chi ha mai detto che le piccole Comunità non possano esprimere un impegno culturale e civile, tanto più apprezzabile in una congiuntura socio-politica come quella contemporanea, troppo sensibile alle pur importanti pregiudiziali economiche fino al punto da fagocitare i valori della persona ed i contesti primari della vita associata? L’esempio di Trivignano Udinese in occasione della festa dell’equinozio, gentile consuetudine che richiama nella frazione di Clauiano tanta gente attratta dalla genuinità dell’ambiente e dall’originalità delle manifestazioni, dimostra ancora una volta il contrario.
Quest’anno la festa dell’equinozio si è distinta per una serie di iniziative che hanno valorizzato al massimo, anche in un’ottica promozionale, le prerogative locali, a cominciare dai buoni cibi, e soprattutto dal buon vino, oggetto di un suggestivo "recital" in Casa Foffani, ad opera di Mario Cei ed Alessandro Quasimodo, che hanno letto versi di poeti antichi e moderni, con l’accompagnamento pianistico di Adalberto Maria Riva, dedicati proprio al vino, ed al suo ruolo salutare e stimolante nella vita umana. Lo stesso dicasi per le altre manifestazioni in programma, dal teatro delle marionette per la gioia dei bambini agli spettacoli teatrali, come quello dedicato a Primo Carnera, e soprattutto, "Prima che sia giorno", in cui è stato rievocato un episodio agghiacciante della Grande Guerra come la decimazione di Cercivento del 1916, esempio purtroppo diffuso di una "giustizia" militare dal volto tragicamente demoniaco.
L’antico borgo di Clauiano, tappa obbligata dell’itinerario che collegava Aquileia a Cividale, è diventato protagonista di vita, e staremmo per dire di anima, in due giorni allietati dalla dolcezza dell’autunno incipiente, ma nello stesso tempo, nobilitati da intenti culturali che hanno trovato ampia risposta ed attenta audizione, sia nel pubblico locale, sia in quello proveniente da fuori provincia.
Vale la pena di rammentare agli immemori, ed a coloro che si compiacciano di ricordare, che l’esempio di Trivignano dimostra come si possano fare "egregie cose" anche con pochi mezzi, coniugando al meglio l’apporto dei privati con l’impegno istituzionale, senza forzature contingenti né contraddizioni strumentali, e costituendo un modello idoneo ad essere recepito anche altrove. Del resto, i limiti di budget non hanno impedito di ascoltare, durante il "recital" di cui si diceva, passi di grande effetto tratti, fra gli altri, da Omero e da Baudelaire, od anche da Catullo, Leopardi, Neruda, Depero, e via dicendo, fino al padrone di casa Foffani, tutti a vario titolo innamorati del vino; per non dire dei pertinenti supporti musicali di Mascagni, Debussy e Verdi (non a caso, la conclusione è stata affidata a "Libiam nei lieti calici", pezzo straordinariamente idoneo ad un’iniziativa per il vino).
La valorizzazione delle risorse locali, in buona sostanza, può essere perseguita con successo senza bisogno di ricorrere a manifestazioni stereotipe, spesso ripetitive, dando spazio ad una cultura non certo elitaria, ma fondata sulla memoria collettiva e sulla partecipazione generale. All’alba del nuovo millennio, piace sottolineare questa affermazione di genuinità, e questo forte convincimento di dover ravvisare nell’uomo la misura di tutte le cose.
Carlo Montani
QUANDO LA SCELTA ERA IN NOME DELL’ONORE
Gianfranco Gambassini, Una pagina di vita in una pagina di storia: dalla Repubblica Sociale al Seminario Romano Maggiore, Edizioni Settimo Sigillo, Roma 2006, pagg. 152, euro 14.
La storia, pur non essendo maestra di vita, perché in caso contrario consentirebbe di prevenire errori e deviazioni che invece vengono ripetuti con singolare pervicacia, ha sempre una valenza culturale, che diventa etica quando l’interpretazione dei fatti e delle idee che ne furono la matrice, trascenda conclusioni soggettive, o peggio strumentalizzazioni di comodo: come ha rilevato il Sen. Andreotti intervenendo alla presentazione di questo libro, tenutasi nella Sala Conferenze della Biblioteca del Senato, il bene ed il male non sono facilmente separabili, tanto che, più spesso di quanto si creda, "la cattiveria dei buoni è più dura di quella dei cattivi".
Proprio per questo, ogni ricerca storica autenticamente tale, come questa di Gambassini, che non è un diario, come si potrebbe presumere a prima vista, ma una rivisitazione di esperienze umane sofferte e spesso tragiche, maturate in un momento traumatico come pochi, assume connotazioni di forte impegno civile, non disgiunto dall’ethos e dalla forza volitiva che esso comporta. Se è vero che "non si mente alle proprie radici", è anche vero che per fare grande storia è necessario comprendere, prima ancora delle proprie, le ragioni degli altri.
Lo stesso Andreotti, nelle stimolanti riflessioni che hanno accompagnato il suo intervento alla presentazione di Gambassini, ha insistito sul tema, affermando che "ci vuole grande prudenza nel dare giudizi", e che il tempo trascorso dalle vicende della RSI non è ancora sufficiente per giudicare uomini e cose "con distacco assoluto" (cosa peraltro impossibile, perché la storiografia europea del Novecento, da Meinecke a Croce, ha formulato in termini ineccepibili il principio di "contemporaneità" della storia, sia essa antica o moderna).
Ma c’è di più: il Senatore a vita, spingendosi in esemplificazioni analitiche, ha rammentato come nel dicembre 1940 Papa Pacelli, in visita al Quirinale, ebbe a caldeggiare presso il Sovrano la permanentizzazione della non belligeranza italiana, anche se questa scelta poteva sembrare opinabile, non essendo infondato chiedersi se "sarebbe stato il caso di lasciare tutto nelle mani di Hitler".
Un’opera come quella di Gambassini, in buona sostanza, ha meriti di metodo e di contenuti che vanno ben oltre la narrazione di una dura esperienza umana, sia negli anni della RSI, sia in quelli immediatamente successivi, quando fu ospite del Seminario per sfuggire ai rigori di una "giustizia" sommaria, ma meglio sarebbe dire amorale, come quella partigiana.
Si tratta di meriti messi puntualmente a fuoco, non soltanto dal Sen. Andreotti, ma anche dal Prof. Chiarini (Ordinario di Storia contemporanea alla Statale di Milano e Presidente del Centro Studi RSI); quando ha sottolineato come le scelte dei giovani che abbracciarono la causa dell’ultimo fascismo fossero in larga misura "prepolitiche", perché indotte da valori non certo contingenti come l’onore, la coerenza, e soprattutto l’idea di Patria; dal Prof. Parlato (Ordinario di Storia contemporanea all’Università San Pio V, e Rettore della medesima); quando ha ricordato come l’esperienza del ventennio non sia stata totalitaria, bensì autoritaria, anche perché molti fascisti erano cattolici, donde la mancanza di una forte convinzione ideologica, tanto da potersi dire che l’adesione alla RSI di uomini come Gentile, Biggini o lo stesso Gambassini sia stata una reazione (non priva di suggestioni aristocratiche) al trasformismo ed alla facilità di rivoltare le gabbane, tipica di quel momento, ma non solo di quello; e da Mons. Tani (Rettore del Seminario); il quale non ha mancato di rammentare come, sia prima del 1945, sia dopo, la risposta del movimento cattolico, e per esso di Mons. Ronca, Rettore dell’epoca, fosse stata sempre improntata "in funzione della carità cristiana", anche con forte rischio personale, ma non disgiunta da valutazioni etiche di base (e come le attuali dispute sul ruolo di Pio XII non abbiano reale fondamento, inquadrandosi, si dovrebbe aggiungere, in una dimensione antistorica, perché basate su conclusioni a posteriori che non tengono conto della "realtà effettuale" di quell’epoca davvero tragica).
La storiografia contemporanea, nel quadro di un "revisionismo" che è stato demonizzato dalla "vulgata" tuttora prevalente, ma che, a ben vedere, ne costituisce l’essenza e la stessa ragion d’essere, perché conoscere ed interpretare la storia significa compiere opera di costante approfondimento (a cui il libro di Gambassini contribuisce in maniera non effimera); ha dimostrato che il ruolo della RSI non fu quello di servo sciocco del Reich, anche se per molti aspetti la sua sovranità fu certamente e dolorosamente limitata, almeno sul piano sostanziale, come attestano fenomeni come quelli dell’Adriatisches Kustenland o dell’Alpenvorland.
Al contrario, se l’Italia non conobbe una sorte ancora peggiore, come quella di altri Paesi dell’Est, e se la logica dell’occupazione militare, al di là di non poche degenerazioni criminali, non si spinse al punto di fare terra bruciata, salvaguardando vite umane, infrastrutture, impianti industriali ed opere d’arte, ciò si deve proprio alla RSI, come ha posto in evidenza quella storiografia, ma come emerge anche dall’impegno divulgativo di uomini come Gianpaolo Pansa, dichiaratamente di sinistra, ma proprio per questo a più forte ragione apprezzabili in una ricerca della verità tuttora rischiosa, come ha dimostrato l’aggressione di Reggio Emilia ai danni del giornalista Autore della fortunata trilogia sulla Resistenza.
In effetti, sia dall’una che dall’altra parte, come ha ricordato il Prof. Chiarini, ci furono ragioni ideali e motivazioni di nobile sincerità, ma anche per questo non potrà esserci una reale "pacificazione", nemmeno quando saranno scomparsi l’ultimo partigiano e l’ultimo "repubblichino", se quelle ragioni, spesso "più grandi di loro", se non anche motivate da fattori contingenti o da vere e proprie emergenze, non saranno comprese fino in fondo, e sublimate in un riconoscimento di pari dignità, anche per chi si trovò per convincimento o per circostanza dalla parte "sbagliata".
Del resto, nefandezze di ogni tipo, come ormai è ampiamente documentato, furono compiute dall’una e dall’altra parte, perché la madre dei delinquenti, ahinoi, è sempre incinta; e poi, non è forse vero che anche gli Alleati si macchiarono di delitti condannati dallo stesso diritto internazionale, fucilando senza alcun motivo i prigionieri italiani in Sicilia, distruggendo obiettivi senza valore militare, e programmando azioni meramente terroristiche come i quaranta bombardamenti che rasero al suolo la piccola Zara, solo perché così piaceva a Josip Broz detto Tito?
Se non altro per questo, grande merito etico-politico deve essere riconosciuto a Gianfranco Gambassini per avere consegnato agli ignari, e prima ancora agli immemori, quest’opera tanto più stimolante perché mutuata dalla grande storia, ma nello stesso tempo dalla dura esperienza personale; per avere dichiarato "assolutamente inaccettabile" le dichiarazioni di Gianfranco Fini secondo cui "la Repubblica Sociale Italiana è stata una vergogna", cosa che "ha offeso profondamente l’onore di tutti i ragazzi di Salò", ma anche "i valori morali della destra italiana"; e per avere concluso il suo intervento al Senato auspicando che la discussa legge con cui, nello scorcio dell’ultima legislatura, è stato finalmente riconosciuto ai combattenti della RSI lo "status" di belligeranti, ma "senza benefici", aggiungendo al danno la beffa, possa essere rivista e corretta, prima che gli ultimi di costoro tolgano il disturbo.
Ecco una bella occasione per la sinistra, oggi al Governo, di dare una prova concreta, moralmente importante ed economicamente trascurabile, della sua propensione "pacificatrice", e di anteporre l’ethos alle ragioni della bassa politica.
Carlo Montani