Tutto si sarebbe potuto pensare nell’Italia di oggi, ma non certo che la Fiera del Libro di Torino, pervenuta alla XX edizione, si trasformasse in una vetrina di rivendicazioni da parte della minoranza slovena di Trieste e provincia, alcune delle quali davvero surreali. Invece, è puntualmente accaduto, durante la presentazione di talune opere letterarie di sette Autori sloveni contemporanei, introdotti da Giorgio Pressburger, esponente significativo di quella minoranza. Sia ben chiaro: nessuno ha da sollevare eccezioni sul fatto che in una grande manifestazione culturale come quella del Lingotto si dia spazio a tutte le voci, sia perché i confini del mondo letterario si sono praticamente dissolti, sia perché, nel caso specifico, il recente ingresso della Slovenia in seno all’Unione Europea rende a più forte ragione attuale il dialogo con la sua cultura, e con esso, l’approfondimento di un rapporto che lo stesso Pressburger, nella sua prolusione, ha lamentato essere tuttora episodico, se non addirittura minimo, precludendo l’accesso a spazi di più ampia e definitiva "pacificazione". Il relatore, dopo avere premesso che, a suo giudizio, molti italiani non conoscono l’esistenza stessa della Slovenia, e nella migliore delle ipotesi, si disinteressano dei suoi problemi, ignorando valori culturali che sarebbero una vera e propria "ricchezza" dell’Italia, ha sottolineato che la minoranza è vittima, ancor oggi, di molte "umiliazioni", tanto più gravi perché perpetrate da parte di un Paese come l’Italia stessa, che pure è una "grande superpotenza culturale", e quindi destinata ad esercitare un ruolo più importante, alla lunga, di quello delle superpotenze militari. Alla fine, il Prof. Pressburger, forse trascinato dalla foga, ha ripetuto che i cittadini italiani di espressione slovena sono trattati "in modo subordinato", ha affermato che "l’orizzonte è cupo", ed ha aggiunto che la minoranza, vittima di un vero e proprio "degrado", deve lottare per la sua stessa "sopravvivenza", ed arroccarsi in una strategia di permanente difesa. Non basta: gli stessi editori italiani sono stati accusati di essere "razzisti" solo perché si ostinano ad ignorare poeti, romanzieri e narratori di Slovenia, tanto che, secondo la sorprendente conclusione dello stesso Pressburger, bisogna "costringerli" a cambiare registro. Tutti sanno che, non da oggi, la minoranza slovena in Italia è una delle più protette in assoluto, sia da parte dello Stato che della Regione Friuli Venezia Giulia: motivo di più, per essere quanto meno sconcertati a fronte di affermazioni così categoriche e non certo collaborative, anche se pronunciate al cospetto di pochi intimi. Peccato, perché la presentazione di esponenti della cultura slovena contemporanea come Boris Novak e Miroslav Kosuta, anche attraverso la lettura di alcune loro composizioni, avrebbe potuto essere un momento di effettiva aggregazione, e di auspicabile superamento di quella "Trieste triste" in cui, secondo le parole dello stesso Kosuta, non è difficile imbattersi in chi "già da tempo vorrebbe infine morire". Sta di fatto che taluni esponenti di spicco della minoranza slovena, nonostante la sua rappresentanza nel Parlamento nazionale e quella più significativa nel Consiglio regionale, non hanno ancora superato i complessi di un radicato sciovinismo, trasformando, come nella fattispecie, una tribuna letteraria in una passerella politica, con riferimenti storici ai fatti del 1920, quando l’incendio del "Balkan" avrebbe annullato i valori di una civile convivenza, se non anche ai censimenti austriaci, i cui conteggi avevano evidenziato la presenza di un buon terzo di sloveni (in un comprensorio non certo omogeneo all’odierno contesto provinciale). Sarebbe troppo facile, a questo punto, contestare chi ha affermato che il Golfo di Trieste è diventato "uno stagno", e che la città di San Giusto è il "polmone" della Slovenia, nella stessa misura in cui Lubiana ne è il "cuore", sottintendendo la permanenza di mal sopite nostalgie, se non anche di rivendicazioni. Se la cultura non ha confini, pur esprimendosi attraverso un linguaggio non ancora universale (fatta eccezione per quello della musica); e se le assise letterarie hanno una valenza sociale che tende a comporre divisioni ed incomprensioni, è il caso di stendere un velo su affermazioni come quelle udite a Torino, che oltre tutto, è appena il caso di porlo in evidenza, non hanno nemmeno il supporto di un pur evanescente "fumus boni juris".
Carlo Montani