Affermare che la vera musica ha un linguaggio universale, in quanto capace di farsi intendere dal cuore e dalla mente di tutti, non è una frase fatta, ma una realtà che i maggiori artisti sono in grado di comunicare attraverso la partecipazione coinvolgente, e nello stesso tempo con una singolare idoneità a trasferire nell’ascoltatore momenti di autentica commozione, nel senso etimologico del termine, che sottintende l’esistenza di un rapporto col Maestro in cui si ammira, ma nello stesso tempo si desidera l’impossibile, e cioè che il momento magico non abbia fine. Uto Ughi, nel concerto tenuto a Trieste ai primi di giugno, chiudendo la stagione del teatro Verdi, mai tanto esaurito ed entusiasta (con applausi convinti e ripetute chiamate); ha raccolto consensi pari alla sua fama di massimo interprete del violino, suonando il suo straordinario Stradivari in un programma dedicato a Beethoven, poi esteso a furor di popolo a Bach e Paganini, ma nello stesso tempo ha offerto l’opportunità, davvero unica, di assistere ad interpretazioni ineffabili, destinate a ricordi non effimeri. Sul proscenio della città di San Giusto, Ughi è di casa, viste le sue origini istriane, e considerato il rapporto di lunga data che lo lega a Trieste, al di là della fama mondiale e dei ricorrenti impegni intercontinentali. Ebbene, stavolta ha superato se stesso, nella duplice veste di solista e direttore di un’orchestra attenta e sensibile, ed in quella di "anchorman" che non disdegna di prendere in mano il microfono e di parlare al pubblico, alternando una lezione di grande musica alla sofferta protesta per una politica incapace di sopperire alle esigenze del teatro e della cultura. E’ banale soggiungere che al concerto si va soprattutto per ascoltare, e nel caso di specie, per essere travolti dall’onda della commozione suscitata da un’impareggiabile maestria nel cogliere gli stati d’animo, le assonanze e le sfumature quasi estatiche di compositori sommi. Tuttavia, un concerto di Ughi è anche spettacolo, se non altro per il modo ispirato e sofferto con cui dirige, e con cui ricava dal suo strumento espressioni di musica sublime, e quindi, a più forte ragione universale. Quello di Trieste non ha fatto eccezione. Critici autorevoli sostengono che esistono pochi Maestri in grado di riempire il teatro al solo annuncio del loro programma, suscitando la partecipazione di coloro che non sono o non possono essere frequentatori abituali. Uto Ughi è uno di questi: naturalmente, non solo a Trieste, ma a più forte ragione a Trieste, dove l’aria di casa costituisce un valore aggiunto che coniuga felicemente il nobile sentire dell’artista con la commozione del suo pubblico.
c.m.