Gli studiosi continuano la ricerca del vero Shakespeare, vale a dire la ricerca mirante a stabilire l’identità del vero autore di quell’insieme di capolavori fin qui attribuiti al William Shakespeare di Stratford-upon-Avon. La paternità letteraria di quest’ultimo, circa l’opera cosiddetta shakesperiana, è infatti contestata da molti a causa di numerosi, consistenti indizi "contrari". Basterà dire che questo Shakespeare attore, impresario teatrale, proprietario terriero, usuraio, non lasciò, alla sua morte, libri in eredità. E del resto, anche se avesse posseduto una ricca biblioteca, come la sua creazione letteraria farebbe supporre, il lasciare libri alle figlie sarebbe servito a ben poco, visto che queste erano analfabete. Il che, dopo tutto, non dovrebbe neppure stupire più di tanto, poiché sembra che lo stesso William Shakespeare non fosse andato negli studi più in là delle elementari. Ed ecco che un serissimo studioso, John Hudson, sostiene in un articolo accademico ("Amelia Bassano Lanier; A New Paradigm") pubblicato in una prestigiosa rivista (The Oxfordian) che il vero autore delle opere attribuite a Shakespeare fu una donna, certa Amelia (Aemilia o Emilia) Bassano, figlia di un Baptiste (Battista) Bassano, musicista veneziano che era stato fatto venire a Londra a suonare nell’orchestra di corte. I Bassano di Venezia erano molto probabilmente dei "conversi" o "marrani", come venivano chiamati gli ebrei convertitisi al cristianesimo. Una tale attribuzione di paternità letteraria - e forse sarebbe più giusto dire "maternità" - sarebbe stata accolta nel passato con espressioni d’incredulità e persino di dileggio. Ma i tempi sono cambiati: che l’autore immortale sia in realtà una donna, è un’idea oggi accettabile. Gli argomenti presentati da questo studioso a sostegno della sua attribuzione dell’"identità Shakesperiana" alla Bassano, vengono analizzati con serietà anche da quella parte della critica che è in genere poco disposta ad accettare proposte troppo innovatrici. Il sesso femminile della presunta autrice spiegherebbe dopo tutto la necessità che l’autore ebbe di scrivere sotto pseudonimo in quell’epoca lontana, quando era molto difficile trovare un editore per opere letterarie femminili. Quindi che fosse donna, è un’idea oggi accettabile. Sì, donna... Ma italiana? La discendenza italiana della Bassano è per molti un fattore difficile da mandare giù. Lo mostra tra l’altro il fatto che nelle presentazioni, analisi, commenti riguardanti la tesi di John Hudson, l’accento non è mai posto sul legame con l’Italia di Amelia Bassano, figlia di un emigrato veneziano. E dire che l’identità culturale è uno degli elementi base dell’operazione d’identificazione, compiuta da John Hudson, circa il vero creatore dell’universo shakesperiano, universo marcato da una forte "italianità". "Italianità" non solo di personaggi e di storie ma anche di fonti letterarie. Ebbene, torno a ripetere: l’italianità della Bassano, presunta autrice dell’opera attribuita fin qui a Shakespeare, non sembra destare alcun interesse tra gli addetti ai lavori o anche tra il pubblico profano. Nelle presentazioni, analisi, commenti riguardanti l’audace tesi di John Hudson, l’accento non è quasi mai posto sul legame con l’Italia di Amelia Bassano, figlia di un emigrato veneziano. Vivissimo interesse suscita invece il fatto che la Bassano fosse un’"ebrea", come la stragrande maggioranza dei commentatori, istantaneamente, l’acclama con compiacimento. Un’altra cosa anche sorprende - ed è questo il punto che intendo sollevare adesso, invitandovi a considerare tutto quanto precede come una sorta di lungo preambolo. Sorprende che non si citi, in questi commenti, il professore universitario Lamberto Tassinari di Montréal, autore di un documentato studio - "John Florio - The Man who was Shakespeare" (Giano Books, 2009) - anteriore a quello di John Hudson, e ricco di elementi che vanno nello stesso senso di molti degli argomenti fatti valere da Hudson nel suo saggio sulla Bassano. Tassinari nel suo libro aveva proposto, quale autore delle opere del cosiddetto "Shakespeare", John Florio; anche lui, al pari della Bassano, di origini italiane. È giocoforza constatare che l’intensità delle reazioni con cui è stata accolta la tesi di Hudson contrasta con il disinteresse che ha circondato finora la tesi fatta valere da Tassinari. Come spiegare questa differenza di trattamento? Un inizio di spiegazione ce lo dà la maniera in cui, nella stragrande maggioranza dei commenti consacrati alla tesi di Hudson, si sorvola allegramente sul legame che intercorreva tra Amelia Bassano e l’Italia, il cui padre, lo ripeto, era nativo di Venezia. Si constata insomma nei commenti uno scarso interesse per l’aspetto italiano della ricca identità culturale della Bassano. Questa del resto è identificata in più occasioni semplicemente come Amelia Lanier, con il solo cognome del marito e con l’omissione di quello suo proprio: Bassano, forse con l’intento di rendere Amelia più accettabile al pubblico "normalizzandola" anche nel nome. La Bassano è inoltre costantemente definita "ebrea" e mai "italiana". Queste constatazioni ci aiutano a capire il disagio che deve aver provocato il libro di Lamberto Tassinari, perché libro scritto su un italiano, da un italiano, in lingua italiana (la prima versione è stata in italiano: "Shakespeare? È il nome d’arte di John Florio" Giano Books, 2008). Speriamo che l’edizione inglese del suo libro venga accolta con maggior interesse, anche perché è ormai impossibile sottacere i forti apporti della cultura italiana all’opera cosiddetta shakesperiana. Mi si potrà a questo punto obiettare che l’attribuzione dell’opera shakesperiana ad Amelia Bassano, un personaggio con antenati ebraici, riesce a dare una spiegazione al fatto che le opere di Shakespeare siano ricche di conoscenze religiose, ebraiche incluse. Ebbene, anche John Florio, figlio del predicatore Michelangelo Florio, era un profondo conoscitore di testi sacri. E oltretutto non è per nulla escluso che anche i Florio discendessero da ebrei. Nel suo notevole libro, Lamberto Tassinari accenna solo a quest’ultimo particolare, senza dilungarvisi. Se vi avesse ricamato solo un po’ su, sono sicuro che avrebbe immediatamente suscitato l’interesse degli addetti ai lavori e di una larga fetta di pubblico. Per essere più chiaro ricapitolerò con parole un po’ diverse quanto già da me detto: il fatto che sull’italianità del padre di Amelia, Battista Bassano, si sorvoli quasi completamente, mentre si pone un entusiastico accento sull’ebraicità degli antenati della Bassano, ci aiuta anche a capire perché la tesi di Tassinari su John Florio, personaggio quest’ultimo troppo italiano per i gusti di esperti e profani, non abbia suscitato l’interesse che questa tesi meritava. È inutile commentare che solo certi tipi di nomi - vedi il nome "Ponzi" - sono capaci di far scattare nella mente di un pubblico un immediato legame con l’Italia e gli italiani. Noi siamo grati a Lamberto Tassinari di aver messo in ampia luce, con il suo "John Florio - The Man who was Shakespeare", il profondo legame che l’universo shakesperiano ha con l’Italia. Legame che la sorprendente, affascinante tesi di John Hudson - al di là della diversità del volto ch’egli pone dietro l’enigmatica maschera shakesperiana - riafferma e consacra. In una futura edizione - ripetiamo l’invito a Tassinari - questi farebbe senz’altro bene bene a ricamare su un fattore quanto mai prezioso in campo accademico e commerciale: le possibili radici ebraiche dello stesso Florio.
Claudio Antonelli