In Italia manca una cultura di Destra.
O meglio, c’è ma non si vede. C’è ma è nascosta, non viene fatta emergere. Un po’ per la capacità della sinistra di essere presente in modo determinante in ogni forma di mass media : diamo atto della capacità che ha avuto di occupare tutti gli spazi culturali, da sempre. Un po’ perché la cultura di Destra nasce come vitalismo, quasi con una sorta di insofferenza verso i libri, il sapere, le discussioni, privilegiando l’aspetto pratico rispetto a quello teorico. E questa è storia. Eppure la Destra ha un suo retroterra culturale, una sua storia culturale e intellettuali di prestigio, anche oggi. Il Pantheon della Destra non è vuoto, gli dei non sono fuggiti: ha molte presenze, di rilievo, storicamente importanti, ma spesso isolate. E’ mancata forse una capacità sintetica, non abbiamo avuto un Carlo Marx, né un Antonio Gramsci
ma tanti intellettuali che hanno elaborato tesi, teorie, analisi e proposte spesso in modo isolato, individualistico. La storia della cultura di Destra è fatta di molte, singole, e spesso divergenti personalità.
Eppure, pur nelle diversità, ci sono dei punti fermi tra le diverse posizioni presenti nella cultura di Destra : gli ideali di patria, del senso dell’onore, del cameratismo, dell’ appartenenza ad una comunità. Ma poi la Dottrina sociale della Chiesa, il riconoscimento del valore del lavoro, della proprietà, della famiglia. Punti irrinunciabili per la Destra e che la distinguono dagli altri orientamenti culturali perché dalla Destra sono ritenuti irrinunciabili o, come si dice oggi, non negoziabili. Proprio in un’età di smarrimento, di disorientamento, come questa che stiamo vivendo, il richiamarsi a valori non rinunciabili può essere la stella polare cui riferirsi. Da qualche decennio ormai abbiamo proclamato, con malcelata gioia, la fine delle ideologie, delle differenze, delle diverse concezioni di vita. Siamo quasi orgogliosi che siano cadute le divisioni, non comprendendo che le distinzioni non sono necessariamente divisioni e che la scomparsa, vera o presunta, delle differenze ha costruito una "civiltà" dell’omologazione. Una civiltà basata sul conformismo frutto della "cultura televisiva", di quel pensiero unico che ci sta facendo sempre più disponibili ad una civiltà da Grande Fratello, in una "globalità" che è diventata il mondo in cui "tutte le vacche sono nere". E’ giunto il momento per la Destra, che non è nostalgia, né reducismo, né retorica, di costruire il futuro. Se è vero che " il domani appartiene a noi", siamo già nel domani. Nel deserto di oggi la Destra deve giocare il suo ruolo e, forte dei suoi valori, dare risposte certe ai problemi di sempre: la difesa della famiglia, della vita, del lavoro. Ma anche dare risposte certe alle nuove "emergenze", al mondo che cambia, senza ipocrite finzioni : il problema dell’occupazione giovanile, dell’immigrazione, delle diversità. Risposte nuove ma sostenute dal senso di tolleranza e di accettazione, che non vuol dire buonismo. La Destra potrà vivere ed essere vincente se, abbandonando l’immagine stantia e vecchia dell’intolleranza, togliendo alla sinistra il monopolio delle risposte agli interrogativi della società, saprà interpretare senza infingimenti e senza compromessi, ma con la schiena diritta, forte della sua tradizione, il mondo che cambia. Diversamente è destinata ad essere un’associazione di reduci, di nostalgici, che sognano un improponibile ritorno di ciò che non può tornare
o si accoderà ad altre formazioni per sciogliersi in un unanimismo che la cancellerà del tutto. Purtroppo oggi sono queste le strade aperte e che si stanno percorrendo
V.A.F.