MARCELLO VENEZIANI : un silenzio che continua a parlare. - Numero 56

E’ passato più di  un anno da quando Marcello Veneziani salutò i suoi lettori. Negli ultimi tempi, per quattro anni, aveva curato per Il Giornale la breve ma caustica rubrica Cucù. Era un appuntamento quotidiano cui il giornalista, saggista, Marcello Veneziani ci aveva abituati.  A dicembre sul suo sito aveva pubblicato un “Messaggio di fine anno”  che risulta essere un vero e proprio addio :”Immaginavo di non andare mai in pensione con la scrittura ma di scrivere fino a che ero vivo e pensante. E invece mi sono trovato a vivere l’esperienza dell’azzeramento, dell’annichilimento, dell’uscita dal mondo”. Ora Veneziani lascia la “parola scritta” per privilegiare quella orale, con quelli che lui chiama i “comizi d’amore”.

Veneziani è stato un punto fermo per molti anni per la cultura della Destra, senza essere fazioso né sterilmente polemico. Ha dato voce ad un pensiero che non trovava, e non trova, facile presenza nella Repubblica delle lettere e dei media, fornendo materiale di riflessione a quell’area politica che non vuole allinearsi con il pensiero dominante. E’ stato costretto ad allontanarsi dal Giornale perché, come ricordava Giancarlo Perna nell'intervista su Libero Quotidiano.it del 12 aprile 2015 (Veneziani: "Berlusconi è già nella storia, ma deve lasciare la politica") " hai detto che ti hanno fatto fuori perché non sei cortigiano".

Ora Veneziani ha pubblicato un nuovo libro, Lettera agli italiani  ma lo possiamo ancora seguire anche sul suo sito, dove continua a  prendere  posizione sulle vicende politiche con la consueta verve.

Riportiamo una parte dell’articolo La verità sulla Resistenza particolarmente significativa, presente sul suo sito : http://www.marcelloveneziani.com/la-veritagrave-sulla-resistenza.html del 25 Aprile 2016


Non posso poi dimenticare altre tre cose.

La prima è che la guerra partigiana ebbe episodi di valore e di coraggio ma anche di gratuita, feroce e impunita violenza. Dimenticare gli uni o gli altri è un oltraggio alla verità e alla memoria dei suoi eroi e delle sue vittime.

La seconda è che molti fascisti combatterono e morirono senza macchiarsi di alcuna ferocia, pagarono di persona la loro lealtà, la loro fedeltà ad un’idea e ad uno Stato; mezza classe dirigente dell’Italia di domani fu falciata dalla guerra civile.

La terza è che di risorgimentali autentici, di mazziniani e patrioti, ve ne furono sia tra gli antifascisti che tra i fascisti. I seguaci di Gentile, di Berto Ricci, di Balbo, ma anche di altri oscuri o controversi protagonisti del tempo, davvero pensarono, cedettero e combatterono nel nome della patria. 

Non sto facendo nessuna apologia del fascismo, reputo il fascismo morto e sepolto da una montagna di anni. Ma non sono disposto a negare, attutire o rimuovere la verità e calpestare il sacrificio di quei ragazzi. Reputo l’antifascismo una pagina luminosa di dignità e di libertà quando il fascismo era imperante; ma non altrettanto reputo l’antifascismo a babbo morto, cioè a fascismo finito. Reputo la Resistenza una pagina necessaria nella storia d’Italia ma reputo le stragi di civili e le uccisioni a guerra finita una pagina infame. Si fa peccato a dire tutto questo? Sono pronto a peccare, nel nome della verità e della libertà. 

Un lettore attento e non fazioso comprende che – a più di 70 anni dalla fine della guerra mondiale – queste riflessioni possono essere la base per chiudere finalmente con il passato. E non per dimenticare, ma per costruire un futuro certo, solido, che da troppi anni ci attende. Un futuro che del passato apprenda la lezione ma che non continui a farsi ingabbiare.

Antonio F. Vinci