E come non parlare, ancora una volta, di scuola? Si sono appena conclusi gli esami finali delle scuole superiori, gli esami di maturità, e le cronache dei giornali riportano, come consuetudine, gli strafalcioni che gli studenti hanno commesso durante le loro interrogazioni. E così apprendiamo, non senza stupore ma anche con una implicita domanda ( “è vera emozione da esami o ignoranza”?); che Pascoli era un pittore e che Garibaldi sia l’autore della Divina Commedia; non va molto meglio per Pirandello che avrebbe scritto “Uno, nessuno, duecentocinquantamila”! E via di scivolone in scivolone. Ce ne è per tutti i gusti! Ma non facciamo gli ipocriti. Prima di tutto a fronte di questi macroscopici errori – ed altri - ci sono studenti che hanno condotto i loro esami in modo sicuramente discreto e talvolta anche in modo brillante. Vedremo alla fine i risultati a livello nazionale. Non c’è da meravigliarsi quindi del fatto che si compiano degli errori quanto della grossolanità di essi, che per altro appartiene solo ad alcuni casi. Mi preoccupa di più, invece, sapere che qualcuno non conosca chi è Mattarella. Come è successo. La nostra scuola, basta leggere le cronache dei giornali, sempre più frequentemente registra casi di inadeguatezza – e non dico altro - rispetto al livello di conoscenze richiesto o di indisciplina e mancanza di rispetto nei confronti dei docenti. Il fatto è che, come nella vita civile, quotidiana, anche nella scuola c’è uno scollamento tra l’ istituzione scolastica come insieme di regole, trasmissione di sapere e di valori, e la vita reale. Ormai dobbiamo accettare una realtà che non può più stupirci : abbiamo perso la bussola, non abbiamo più punti di riferimento da seguire. E non perché superati dalla realtà che cambia. Questa è una facile risposta di chi non vuol vedere, di chi si rassegna per comodità. Siamo afflitti da superficialità, bruciati dalla voglia di fare, di vedere, di sperimentare, senza fermarci. Drogati dalla velocità, “senza perdere tempo”. Ecco : oggi tutto si fa, si legge, si guarda, “senza perdere tempo”. Non c’è più tempo per la riflessione, per capire il mondo che ci circonda. E quindi non ragioniamo più criticamente ma nella migliore delle ipotesi “imitiamo”, seguiamo pedissequamente le mode senza informarci sul loro senso; scavalchiamo tradizioni, valori, senso della vita per una corsa verso il nuovo, il diverso, convinti che “lì c’è vita”, lì c’è un senso. E invece ci depauperiamo sempre di più. Nella scuola si dice sempre che i programmi sono vecchi, superati, dimenticando che ormai non si parla più di programmi strettamente vincolanti ma di linee guida; che esiste l’autonomia scolastica; che i docenti possono ritagliarsi argomenti sulla base delle loro conoscenze; dimenticando che il “classico” non è sinonimo di vecchio. Ma, che scoperta!, da sempre è più facile criticare che rinnovare, che ricostruire, che ripensare al proprio lavoro guardandosi indietro. Stiamo diventando sempre più una società facilona, dedita al pettegolezzo (grazie anche all’esempio di alcune trasmissioni della TV che vanno per la maggiore) più che alla critica costruttiva; una società del “tutto e subito” (ma era già una richiesta dei giovani contestatori parecchi anni fa); una società delle frasi fatte, copiate da trasmissioni televisive o dai mezzi di comunicazione, per cui siamo inondati da “anche no”, da “narrazione”, da “storytelling”, per bene che vada, oppure da espressioni ricavate da canzonette…E la scuola risente di questo clima, perché è fatta da persone, docenti e allievi, che in questo clima vivono.
Trovo, riportata su facebook, questa illuminante frase del filosofo Umberto Galimberti (Il nichilismo e i giovani) : “Bisogna educare i giovani a essere se stessi, assolutamente se stessi. Questa è la forza d’animo. Ma per essere se stessi occorre accogliere a braccia aperte la propria ombra. Di forza d’animo hanno bisogno i giovani soprattutto oggi perché non sono più sostenuti da una tradizione, perché si sono rotte le tavole dove erano incise le leggi della morale, perché si è smarrito il senso dell’esistenza e incerta s’è fatta la direzione”.
Che fare? Non aspettiamoci mutamenti epocali dall’intellighenzia, né a breve né in un lungo periodo. Nella scuola sono gli insegnanti, quelli che ci credono sul serio, a dover iniziare a cambiare la consuetudine, iniziando dai piccoli gesti e dalle abitudini quotidiane : dalla buona educazione al rispetto degli altri, dal senso del dovere, sì proprio così, del “dovere” alla puntualità da attuare nelle azioni quotidiane. Che la scuola ritorni ad avere un carattere educativo e non solo erogatore di conoscenze ed informazioni. Ma bisogna crederci. Non si può continuare a fare finta di niente. Se i giovani sono smarriti è soprattutto colpa nostra, della scuola, della famiglia. Non si può aspettare oltre: bisogna prenderne coscienza.
- V.