SOMMARIO DELLA SEZIONE:
- SCUOLA: UN ANNO SI’, UN ANNO NO
- CRONACA DI UN SUCCESSO
SCUOLA: UN ANNO SI’, UN ANNO NO
Osservazioni critiche sul progetto di introduzione del "biennio valutativo"
La ventilata introduzione (prevista dal DdL Delega in materia di norme generali e di livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e di formazione professionale licenziato dal Senato) del sistema di valutazione scolastica per periodi didattici biennali ai fini del passaggio al periodo successivo (il cosiddetto "biennio valutativo") rappresenta una grave ipoteca sulla qualità del sistema scolastico del nostro paese, che rischia molto verosimilmente di compromettere qualsiasi pregio della riforma scolastica Moratti. Siamo infatti i primi ad auspicare una didattica e una pedagogia che sollecitino negli studenti le migliori motivazioni per lo studio, stimolandoli ad intraprendere la scoperta dei tesori che le materie scolastiche custodiscono, quasi scrigni a disposizione di chi voglia applicarsi con entusiasmo nello studio. Inoltre sappiamo benissimo che il provvedimento della "bocciatura" deve essere usato con oculatezza, considerando le ripercussioni talvolta gravi che può sortire nello studente che sia stato respinto, e non limitandosi a considerare i voti, bensì anche la storia personale dello studente e le diverse cause che hanno concorso a fargli conseguire un profitto sanzionabile con la "bocciatura".
Nondimeno il biennio valutativo ci sembra esiziale per i seguenti motivi:
1. Anche gli studenti motivati, che studiano per gustare il sapore del sapere, acquisiscono la passione per lo studio solo gradualmente, perché essa è molto più una conquista che non un equipaggiamento e si consegue solo studiando e approfondendo argomenti, discipline, problemi, e quant’ altro: l’appetito vien mangiando. In altri termini, il desiderio di conoscere è un’aspirazione primigenia dell’uomo, ma si trova connaturato solo a livello germinale, perciò va sviluppato e attuato. Dunque, se la passione per lo studio si acquisisce solo studiando, è chiaro che geneticamente essa richiede, almeno nelle prime fasi della carriera di uno studente (ma talvolta la passione per lo studio sboccia, se sboccia, solo all’Università); che quest’ultimo venga obbligato a studiare se non vuole ripetere l’anno. È molto difficile che uno studente impari a studiare per passione se non ha incominciato a studiare per costrizione.
2. Chiunque abbia anche la pur minima esperienza di insegnamento sa benissimo che anche il miglior insegnante del mondo è impotente nei riguardi di molti studenti che, per varie ragioni (personali, familiari, sociali, storiche, culturali, o altro) -ragioni che spesso gli insegnanti non sono in grado oggettivamente di rimuovere- sono insensibili e apatici rispetto a qualsiasi richiamo del sapere e del bello e che non provano alcun interesse per lo studio. Del resto, anche Socrate, inventore di quell’arte maieutica che è il modello supremo dell’insegnamento, non riuscì col suo magistero ad accendere la passione per la ricerca in tutti i suoi interlocutori, e da alcuni di essi fu addirittura mandato a morte. Pertanto per studenti apatici e insensibili l’unico strumento che l’insegnante possiede per favorire l’apprendimento è, purtroppo e suo malgrado, il ricorso ad una valutazione negativa che si traduce nella "bocciatura" finale al termine dell’anno scolastico. È chiaro, dunque, che l’introduzione del biennio valutativo costituirebbe per simili studenti la garanzia di un’immunità totale lungo tutto il corso del primo anno, la garanzia che non c’è nessuna ragione per studiare perché anche la più totale assenza di impegno e di applicazione non provocherà nessuna conseguenza, perché basterà darsi un po’ più da fare nel secondo anno per superare due anni in un colpo solo, e ciò senza aver studiato effettivamente per due, bensì soltanto per un anno, grazie alla consapevolezza che l’ anno iniziale non dovrà mai essere ripetuto da nessuno. O con la consapevolezza che, anche in caso di "bocciatura" al termine del secondo anno, soltanto quest’ultimo viene ripetuto e non il primo. Insomma il biennio valutativo è il lasciapassare inequivocabile ad uno studio ad anni alterni dove si consente che tutto ciò che si insegna durante un intero anno scolastico venga completamente ignorato.
3. Per l’intera durata del primo anno l’insegnante si troverà dunque a che fare con studenti che vengono a scuola solo perché obbligati e che hanno ben poche ragioni per attenersi ad un comportamento rispettoso e disciplinato che non disturbi lo svolgimento delle lezioni. Perciò, si badi, simile riforma valutativa danneggerebbe anche gli studenti motivati e volonterosi, che verrebbero disturbati dagli altri e ostacolati nel loro legittimo desiderio di imparare, di ascoltare e di intervenire nel corso delle lezioni.
4. L’ introduzione del biennio valutativo, oltre tutto, ci emarginerebbe dal resto dell’ Europa: infatti tale istituto non esiste in nessun altro Stato, con la sola eccezione della Spagna, dove ha dato pessima prova di sé, tanto che in quel paese si sta tentando di correre ai ripari: facciamo almeno tesoro dell’ esperienza altrui!
Il biennio valutativo si configura pertanto come l’ azzeramento di qualsiasi pregio che l’imminente riforma scolastica possa esibire, anzi dell’intero sistema scolastico: che senso ha stabilire programmi di insegnamento, inserire nuove materie, progettare l’aggiornamento e la riqualificazione degli insegnanti, ecc., se tanto gli studenti possono per un anno intero trascurare qualsiasi materia e qualsiasi programma? Quali vantaggi dell’introduzione del biennio valutativo, se esistono, possono controbilanciare gli enormi svantaggi che esso comporta?
Per: Associazione Europea Scuola e Professionalità Insegnante (AESPI)
Angelo Ruggiero
Per: Consulta Regionale per i Valori della Scuola
Alfonso Indelicato
Per: Comitato Nazionale Difesa Scuola Italiana (CNADSI)
Manfredo Anzini
Per: Associazione Nazionale Docenti (AND)
Alberto Giovanni Biuso
Per: Associazione Professionale "Scuola del Futuro"
Luigi Rapisarda
Per: Centro ricerche, studi e iniziative "Europa 2000"
Giuseppe Manzoni di Chiosca
Per: Fondazione Cajetanus
Diego Zoia
CRONACA DI UN SUCCESSO
Si riparte. Trascorso il periodo delle festività , ci si prepara per un nuovo anno ricco di impegni e di auspicabili successi, con la speranza di non venir travolti dall’insostenibile frenesia della quotidianità; peccato mortale, soprattutto per chi è abituato a far tesoro del tempo e dell’esperienza. Ma fin da questi primi mesi, un nutrito gruppo di giovani avrà un punto di riferimento immediato, un perno della propria azione, rappresentato da un preciso momento di riflessione, di pensiero, di vera comunità. Una scommessa vinta, dunque, il Raduno della Giovane Destra tenutosi tra le mura del Palazzo Orrù di Quartu S.Elena nei giorni 21, 22 dicembre, in pieno periodo prenatalizio. Organizzata dalla Presidenza Provinciale di Azione Giovani, la due giorni quartese -ribattezzata "Ideando l’Azione"- è stata teatro di una effervescente elaborazione culturale e politica messa in scena dai numerosi militanti della realtà provinciale; ma soprattutto ha dato occasione, una tantum, di respirare in maniera effettiva e non soltanto ideale il clima comunitario che da vigore e ragion d’essere all’azione quotidiana ed alla fiaccola che ne è emblema. Un buon cappuccino, un pranzo comunitario ed una buona pizza per concludere il giorno hanno collegato in un’unica sessione ideale le varie fasi del campo. Nessun lato è stato trascurato; tra momenti ludici ed altri di approfondimento, i ritmi delle giornate hanno soddisfatto la necessità, per un ambiente talvolta abituato ad eseguire piuttosto che elaborare, di confrontarsi sui temi che la post-modernità esprime pressantemente. Tre gruppi di lavoro distinti si sono dunque occupati di altrettanti temi, nel tentativo di far emergere differenze e trovare una sintesi. Apripista della discussione intorno ad ogni tavolo è stata una breve minuta, ricca di interrogativi, distribuita ai militanti qualche giorno prima dell’incontro. Il primo gruppo (di cui Simone Olla, presidente di Azione Giovani Quartu, ha curato la minuta ed ha svolto il ruolo di moderatore) ha analizzato i rapporti tra Europa ed Islam ; alla luce dei recenti avvenimenti, che hanno rimesso in discussione i due concetti, si è convenuto come attorno ad essi sia premente la necessità di evitare ferree schematizzazioni, cercando invece di coglierne la naturale e proficua indefinibilità. Considerazioni utili giungono dunque dal grande libro della storia, che permette di leggere un secolare riconfigurarsi di rapporti tra le due realtà, di cui l’Europa sarebbe emblematica sedimentazione. Esempi positivi di coesistenza, integrazione e cooperazione, come nel caso della Spagna araba di 1300 anni fa, cozzano con la spesso prospettata realtà di blocchi monolitici, incomunicanti ed attualmente contrapposti, in virtù di un discutibile ideologismo politico. Chi paventa "scontri di civiltà" non si inscrive dunque in una logica propriamente fondamentalista? Un atteggiamento produttivo potrebbe consistere nell’analisi dei reali motivi -e non di comodo- degli integralismi di qualsiasi segno, sia quello islamico, sia occidentalista. In tal senso, si dovrebbe tenere dunque conto della tendenza universalista più o meno esplicitamente ostentata dalle democrazie liberali occidentali nei confronti della diversità; la storia, di cui non ci si può vantare di conoscere direzione e verso, si dimostra dunque materia prima da cui attingere per analizzare il fenomeno della cosiddetta "terza invasione" dell’Islam; conseguentemente il fenomeno dell’immigrazione andrebbe forse letto attraverso le lenti della coerenza, riconoscendo l’asimmetria reale tra un’immigrazione metabolizzabile secondo esigenze economiche o strette affinità culturali con i suoli d’arrivo, ed una che abbia la precondizione del rispetto dell’essenza stessa della comunità, non soltanto della propria ma anche di quella altrui. Il secondo gruppo di lavoro ("11 Settembre, Perché?") - moderato da Giuseppe Corda (Presidente del circolo di Azione Giovani di Assemini) e da Simone Belfiori (militante di Azione Giovani Quartu, nonché curatore della minuta) - si è invece occupato dell’annosa questione inerente i tragici fatti dell’11 Settembre. Numerosi sono stati gli aspetti trattati: dal riconfigurarsi dello scenario politico mondiale in seguito alla caduta del blocco sovietico, all’idea e al ruolo dell’Europa, fino ad inevitabili considerazioni di carattere antropologico su culture e civiltà. Sono emerse posizioni differenti, che non hanno consentito di trovare una vera e propria sintesi; tuttavia, non sono mancate occasioni di dialogo e conclusioni comuni. Si è manifestata, in maggioranza, una simmetria di vedute riguardo al rifiuto dell’ipotesi di uno "scontro di civiltà" in atto e nei confronti di una visione dell’Islam unitaria e riduttiva; allo stesso modo, uniforme è stata la condanna nei confronti dei tragici eventi delle Twin Towers. Numerose anche le voci di chi non condivide le modalità di intervento militare messe in atto nei territori dell’Afghanistan; è stato prospettato lo scenario di una più stretta osservanza del diritto internazionale -con conseguente riferimento ad azioni di polizia internazionale- ed un ricorso a strumenti tipici del sistema-rete, individuabile nell’intervento nei nodi finanziari e della comunicazione. Una delle tesi, pur non negando il ruolo avuto dalla Cia nel periodo delle guerra fredda nel finanziamento e nella formazione della rete di Al-Qaeda, vede nell’operato di Bin Laden -indicato come punto nevralgico dell’intera rete- un movente prettamente economico al quale si saldano pretestuosamente motivi religiosi; il legame dello sceicco con i trafficanti d’armi e droga avrebbe dunque ruolo preminente, e la stessa rete troverebbe finanziatori in ogni luogo del globo, tra cui la regione europea. Le ragioni che pongono l’accento sull’ossessiva ed incombente presenza americana nei "luoghi sacri" dell’Islam, sommate alle considerazioni sull’invasività della decennale politica estera statunitense nella regione mediorientale, assumerebbero quindi un peso strumentale e secondario; viene inoltre ricordato come le cosiddette realtà islamiche "moderate" o "filo-occidentali" siano effettivamente al loro interno anch’esse ricettacolo di forze per l’organizzazione di Bin Laden. Il pomo della discordia è caduto essenzialmente in questo frangente: pur ammettendo la possibilità di un’associazione strumentale di istanze socio-politiche e religiose (caratteristica effettiva di un integralismo) e rilevando un’essenziale affinità di diverse posizioni, un’altra delle tesi emerse ritiene invece primario, ai fini della sconfitta del fenomeno terroristico, il prosciugamento del serbatoio d’odio di cui si nutre il fondamentalismo islamico. La realtà degli Stati Uniti, alfieri della corsa all’Occidentalizzazione del mondo e della prevaricazione aggressiva in nome di interessi economici, dovrebbe dunque riconsiderare le ragioni della sua attività nel mondo arabo; utile sarebbe inoltre adottare misure risolutive riguardo al conflitto arabo-israeliano e rimuovere l’embargo in Iraq. La causa di Bin Laden trova infatti nuovi adepti tra le fila di coloro che sono vittime di un odio strumentale e pericolosamente fomentato. Divergenze sono inoltre sorte riguardo all’idea stessa di "rete"; la voce di chi ha sostenuto una preminenza in termini finanziari e direttivi di uno o pochi nuclei interamente coordinati (tra cui quello di Bin Laden) ha fatto di contro alla teoria di una rete capillare ma di natura essenzialmente cellulare e locale, in cui ogni punto possa assurgere ad un ruolo centrale e periferico. Infine, altri punti di discussione sono stati quelli intorno ai concetti di Europa ed Occidente; una tesi ha letto nell’Occidente un contenitore sostanzialmente uniforme, nel quale sia Europa che Stati Uniti possono riconoscersi per cultura e società; un’altra tesi, riconoscendo delle affinità notevoli tra Europa e Stati Uniti, ritiene però il concetto di Occidente un indicatore prettamente economico, che svolge una funzione di patina nei confronti di profonde diversità socio-culturali dal notevole sedimento storico. Il terzo gruppo, la cui minuta è stata redatta da Giovanni Pili - militante di Azione Giovani Quartu -, è stato chiamato "Scuola e Università". In realtà, si è parlato quasi ed esclusivamente di Scuola, causa pressoché totale assenza di studenti universitari tra i partecipanti al dibattito; la maggioranza di essi ha infatti optato per uno degli altri due gruppi. Tra gli oggetti di discussione, sono state affrontate le questioni inerenti a quel che rimane della "massificata, pianificata e livellata" riforma Berlinguer; sono dunque emerse le perplessità riguardo ai meccanismi effettivi dell’autonomia scolastica, evidenziando la carenza di una corrispettiva riforma degli organi collegiali della scuola. E’ inevitabilmente finita sotto analisi la riforma Moratti, che ha suscitato non pochi pareri discordi, sia riguardo alla propriamente detta "Riforma della Scuola" e degli organi collegiali, sia riguardo alle questioni di Edilizia e Parità scolastica ; dunque, scuola pubblica o privata ? La speranza è che la parità scolastica possa essere un’occasione di rilancio per la scuola statale attraverso il confronto costante con la scuola non statale; scenario alternativo potrebbe consistere in un’ulteriore declassificazione della prima. Tra le battaglie storiche di Azione Studentesca, è stata nuovamente discussa l’abolizione del libro di testo obbligatorio: concorde sulla premessa, la giovane destra cagliaritana si è però prefissa di approfondire ulteriormente le modalità di attuazione di un tale provvedimento, prendendo in considerazione temi apparentemente semplici ma essenziali come il fatto che una famiglia media (e tantomeno il giovane) non sia effettivamente in grado di scegliere il più adatto tra i libri di testo. Si prospettano dunque ipotesi alternative alle già prospettate Commissioni D’Indagine (forse inadatte a giudicare la storia in quanto non propriamente "scienza esatta") e bersagli primari, da ricercarsi nelle logiche di scelta e distribuzione -con annessa la questione della speculazione editoriale-, rispetto al capro espiatorio di un’"egemonica sinistra". I gruppi di lavoro hanno presentato pubblicamente le loro relazioni alla conclusione della due giorni,ovvero nella serata di domenica alle ore 19; per il gruppo Europa e Islam, Simone Olla ha svolto le funzioni di relatore. Simone Belfiori e Giuseppe Corda hanno invece esposto le conclusioni emerse dal lavoro del gruppo "11 Settembre : Perché?". La relazione finale del rimanente gruppo, ossia "Scuola e Università", è stata tenuta dal responsabile di Azione Studentesca Quartu Alberto Cordeddu. Tra gli altri momenti di approfondimento culturale, da segnalare lo spazio denominato "La Comunità che pensa": a tutti i militanti è stato consegnato un’estratto da " Il piccolo principe " di Antoine de Saint-Exupéry, selezionato dal Presidente Provinciale di Azione Giovani Paolo Truzzu. Dopo un breve tempo dedicato alla lettura, il dibattito si è sviluppato spontaneamente intorno ai numerosi spunti offerti dal brano; sono emersi fortemente i concetti di Amicizia e Comunità, Radicamento e Legame, Appartenenza, Responsabilità e Diversità. Ancora un’altra occasione di riflessione è stata offerta alla conclusione della giornata di sabato, quando ha infatti avuto luogo la proiezione del film "Black Hawk Down" di Ridley Scott, un ottimo -dal punto di vista della sceneggiatura- film di Guerra, inerente la fallimentare operazione militare americana a Mogadiscio (Somalia) del ’93. Più che buono dal punto di vista tecnico, esso ha prevedibilmente rivelato un opinabile sostrato etico-ideologico. Per quasi tutta la giornata di domenica, la comunità militante si è piacevolmente avvalsa della compagnia della Co-reggente nazionale di Azione Giovani Giorgia Meloni, che ancora una volta ha dimostrato grande interesse ed attenzione per le realtà locali tra cui quella sarda. Giorgia ha avuto modo di presenziare allo svolgimento dei lavori del campo, offrendo il suo prezioso contributo ad ogni discussione, senza però privare i militanti del minimo spazio di espressione. Alle ore 15, un suo lungo discorso, capace di scaldare i cuori e di offrire nuova linfa riparatrice di contrasti e discordie, ha posto l’accento sul modo in cui dovrebbero lavorare le realtà giovanili, mettendo da parte ogni personalismo per costruire quel sogno che soltanto una comunità che agisce come tale ha speranza di vedere realizzato. Moltissimi temi sono stati toccati, dall’Idea di Europa -che dovrebbe essere il faro del pensiero e dell’azione della Giovane Destra- alla politica estera del Governo, dalle battaglie passate -condite da testimonianze personali- del Fronte Della Gioventù fino ai rapporti spesso contrastati con il Partito, per giungere poi alla definizione degli scenari futuri di Azione Giovani, sia in relazione alla sua articolazione sul territorio, sia in riferimento agli spazi totalmente nuovi che gli si offrono in una realtà mutata, sempre più numerosi in virtù dell’essere l’organizzazione giovanile più capillarmente diffusa e dotata di numeri potenzialmente capaci di vincere molte battaglie. Un lungo applauso ha fatto seguito ad un’ora e più di discorso, alla fine del quale ogni militante ha certamente guadagnato qualcosa di importante, impossibile da far trasparire in queste righe. Oltre all’elaborazione culturale, anche momenti di svago hanno condito per buona parte il Raduno; Risiko, chitarre e musica alternativa sono stati elementi indispensabili per rinfrancare lo spirito e staccare la spina, offrendo al tempo stesso un’occasione per conoscersi e divertirsi. Ma il momento culminante dell’attività ludica è stato sicuramente il quiz "Chi vuol essere comunitario ?", svoltosi nel pomeriggio del sabato. Sulla falsariga dei più noti giochi a premi televisivi, da un’idea dei ragazzi di Azione Giovani Quartu è stata realizzata una sorta di sfida tra due squadre composte in maniera casuale dai militanti della provincia. Domande di storia, cultura generale e storia del partito hanno dato vita ad un quiz diviso in 5 fasi. Tra risate e sano divertimento, l’idea sembra aver avuto successo ed ha avuto l’approvazione ufficiale di Giorgia Meloni, che ha promesso di esportarla nel resto d’Italia. Domenica notte, dopo la cena, si è chiuso dunque uno degli eventi che saranno sicuramente ricordati dall’intera comunità negli anni a venire, poiché si tratta del primo di un’auspicabile e lunga serie di incontri: la speranza infatti è che sempre più spesso nasca l’esigenza di condividere il proprio tempo con gli altri, in modo da "regalarsi un momento di confronto", come recitava la breve presentazione del raduno. Nella vita quotidiana del militante, ed ancor più nel forte sentimento che ha spinto ognuno di noi ad abbracciare questo ambiente, la condivisione di un’ideale ha rappresentato una scintilla e funge da collante tra cuori, menti, radici e destini degli individui prima ancora dei loro volti, dei loro nomi. L’essenziale è invisibile agli occhi, dice la volpe al piccolo principe. Le idee sono dunque invisibili ma lo è anche il tempo, nella misura in cui ci sfugge in continuazione senza che spesso ne si riesca ad afferrare il senso; ed a noi, che respingiamo la politica del presente, senza radici nel passato e senza sguardo verso il futuro, a noi che amiamo cogliere il meglio della realtà non per viverlo hic et nunc ma per coltivarlo e consegnarlo al mondo che verrà, il senso del tempo non deve assolutamente sfuggire. Dobbiamo vedere questo tempo. Per farlo, la strada passa attraverso il riuscire a condividere un momento, come in quelle due fredde giornate di dicembre.
Simone Belfiori