SOMMARIO DELLA SEZIONE:
- Buono scuola: perche’ si’
- Giovani fra scuola e famiglia
BUONO SCUOLA: PERCHE’ SI’
E’ finalmente stato reso concreto il buono scuola che realizza la legge di parità approvata durante la scorsa legislatura dal ministro Berlinguer. I ministri Letizia Moratti e Giulio Tremonti hanno siglato un accordo per 30 milioni di euro da distribuire alle famiglie che mandano i figli alle scuole paritarie. Con questo provvedimento si pongono le premesse perché si mettano sullo stesso piano scuole a gestione statale e a gestione privata. I finanziamenti rientrano in una politica a favore delle famiglie, in modo da aumentare le reali possibilità di scelta delle famiglie e dei giovani. E’ un provvedimento di carattere sociale. A quanti ritengono che sia stato sconveniente dare la priorità a tale provvedimento e parlano di non opportunità politica perché si sottraggono risorse dello stato ad altri provvedimenti, ricordiamo che i soldi stanziati non sono dello Stato ma dei cittadini e che il bonus è solo un ritorno di quanto i cittadini hanno versato pagando le tasse. La società globalizzata ci chiede di andare al di là del solo Stato e di superare il concetto che l’istruzione debba essere monopolio di un solo gestore. Immediata è stata la reazione delle principali organizzazioni sindacali che hanno opposto un secco no. O forse è meglio chiamarlo niet ? A questo punto occorre chiedersi perché tanta ostilità? Quali sono i termini reali del problema? Il problema, denunciamolo chiaramente, non è la legittimità o meno della legge di parità: il problema vero è che statalisti laici e cattolici vedono la concreta possibilità che attraverso questo e analoghi provvedimenti si inneschi un meccanismo che porti in breve tempo a una concreta liberalizzazione della scuola, introducendo quella competizione che spezzerebbe il monopolio statale, e che per questo è tanto temuta da chi concepisce lo stato come un organismo centralista e accentratore, come uno strumento di potere, uno stato che più ci si affanna a proclamare laico, più si vorrebbe come etico. Senza dimenticare quali interessi ruotino intorno a una struttura che è stata per tanti anni, e in parte lo è ancora, un bacino in cui far confluire la disoccupazione intellettuale e un fertile terreno da cui attingere tessere sindacali. Statalisti poi sono, in gran parte, i docenti di scuola statale che vedono nella liberalizzazione e nella competizione una minaccia per il sistema scolastico pubblico. Niente di più falso, lo dico da docente di scuola statale, che crede nella sua importanza e nel suo valore, ma proprio perché la considera un grande e importante patrimonio, ritiene che vada salvata dal monopolio statale, che sta mettendo a nudo problemi complessi e vistose carenze. Purtroppo molti di noi sono talmente abituati a ragionare in un’ottica statalista che non riescono a capire che solo attraverso il pluralismo e una costruttiva e corretta competizione si può ridare efficienza e qualità al sistema scolastico italiano. I docenti preparati, qualificati e capaci non solo non devono temere, ma anzi devono appoggiare un sistema aperto in cui la loro professionalità, la loro capacità progettuale possa essere riconosciuta e valutata, un sistema in cui si riconosca il merito e la qualità del loro lavoro. I docenti non si riapproprieranno della funzione di educare le persone attraverso le discipline, se non in una scuola veramente libera e pluralistica Chi crede nella libertà di insegnamento, non può non volere anche la libertà di apprendimento e di scelta da parte dell’utenza. La scuola è un servizio, pagato a caro prezzo da tutti i cittadini, di cui i beneficiari sono studenti e famiglie. Ora mi chiedo se è possibile che su una questione fondamentale come l’ educazione e la preparazione culturale studenti e famiglie vogliano essere espropriati del diritto di scelta Per questo ben venga il buono scuola, e sia il primo passo verso una serie di riforme che liberino la scuola dallo statalismo, le diano competitività ed efficienza.
Pierangela Bianco
GIOVANI FRA SCUOLA E FAMIGLIA
La riapertura delle scuole ripropone all’attenzione il problema della demotivazione dei giovani. Nel loro porsi all’interno dell’istituzione scolastica sia per quanto riguarda il rapporto docente-discente che per quanto riguarda il ruolo discente nella quotidianità di un lavoro faticoso e che chiede impegno e applicazione costante Si tratta di un problema complesso che rischia di diventare sempre più grave e di cui non ci si può occupare solo in presenza di casi eclatanti. Alla base vi è il rapporto adolescente famiglia-istituzione scolastica, un rapporto che sta diventando sempre più complesso e meno chiaro nella definizione dei ruoli e delle competenze. Abbiamo creato una società che si pone in modo schizofrenico nei riguardi dei giovani: li considera adolescenti fino quasi a trent’anni, ma, essendo maggiorenni per legge a diciotto, tende a far loro assumere nella società e nella scuola ruoli e responsabilità sempre maggiori. Un esempio per tutti: lo stesso diciassettenne che si rivolge ai genitori per essere protetto e difeso quando incontra degli ostacoli nel suo percorso scolastico, siede poi in Consiglio di Istituto e il suo voto , nelle decisioni riguardanti la vita della scuola, vale quanto quello di un docente o di un genitore. Genitori iperprotettivi, tesi con ogni mezzo a risolvere i problemi, a spianare la strada senza comprendere che imparare ad affrontare e a superare le difficoltà vuole dire crescere come uomini, famiglie che insegnano prima di tutto a declinare le proprie responsabilità creano ragazzi fragili che si scontrano con una scuola in cui si chiede ( o almeno si dovrebbe chiedere) lavoro, fatica, sacrificio, applicazione. L’adolescente che vive questo dualismo è sconcertato. Vi è poi un problema molto delicato, complesso e importante, che riguarda le aspettative della famiglia nei riguardi del figlio. Molte volte nella mente del genitore il figlio virtuale ha preso il posto del figlio reale e questo crea conflitti e fratture negative, e talvolta devastanti, per l’equilibrio e la crescita dell’adolescente che si ripercuotono sul suo essere studente: si crea così un circolo vizioso da cui sembra impossibile uscire. Anche all’interno del pianeta scuola i problemi sono tanti. Vi sono troppi insegnanti che non riescono ad assolvere al loro ruolo educativo e tengono comportamenti inadeguati e fuorvianti: incapaci di essere autorevoli senza diventare autoritari, falsamente comprensivi giocano in difesa per non essere attaccati, assumono il ruolo di compagni o amici che è assolutamente fuori posto rispetto alla funzione educativa. Questo crea situazioni di tensione, di demotivazione, di noia, veicola senso di inutilità verso la proposta culturale e arriva a provocare situazioni di conflittualità all’interno del rapporto adulto-adolescente che alcuni studenti cavalcano e sfruttano a loro favore. Il problema è questa volta serio e grave, riguarda tutta la società e non può essere risolto senza il concorso responsabile di famiglie, docenti, società. Ci tengo a sottolineare responsabile perché credo occorra un cambio di mentalità, non leggi calate dall’alto che poi nessuno ha gli strumenti per fare applicare. Bisogna che tutti coloro che sono in grado di rendersi conto della gravità del problema, che credono nella centralità della scuola come luogo di istruzione, di formazione culturale e di educazione, e nell’importanza della famiglia come primo luogo in cui si impara ad assumere le proprie responsabilità, si diventa uomini e donne, cerchino di iniziare un cammino comune di cambiamento coinvolgendo il maggior numero possibile di persone. Smettiamola di trattare ragazzi intelligenti,con un potenziale intellettuale da stimolare e da far crescere, come se fossero tanti eterni bambini da proteggere rispetto al mondo, cioè come degli imbecilli; aiutiamoli invece a responsabilizzarsi, ad operare delle scelte, a superare le difficoltà, a trovare una strada idonea ai propri interessi, alle proprie attitudini, alla propria volontà e capacità. Diversamente saremo adulti irresponsabili che formano nuovi frustrati, e anche peggio.
Pierangela Bianco