Chi temeva che all’Assemblea Nazionale di Alleanza Nazionale ci sarebbero stati forti dissensi, si è dovuto ricredere. Il documento di luglio elaborato da Fini per la nuova Fiuggi di AN è passato praticamente indenne. Nonostante i malumori della base, o per lo meno di una parte della base. In altra parte del giornale pubblichiamo,infatti, due documenti, pervenuti in redazione, non propriamente esaltanti per la politica finiana. Solo a contrastare la visione del Capo è rimasta la posizione di Francesco Storace, che si è astenuto, come pochi altri dall’approvazione finale del documento. Nessuno ha votato contro. Insomma: il partito è saldamente con Fini. Si guarda alle elezioni europee del 2009, si guarda al PPE come approdo finale, si guarda soprattutto a quella destra sommersa che supera il 12/14 % e alla quale va tutta l’attenzione per il futuro da parte di AN.
Fini parte dal presupposto che "dopo dieci-dodici anni, il bipolarismo è radicato nel Paese molto di più di quanto sia radicato nei partiti. C’è un popolo delle libertà di cui tenere conto, che va ascoltato e che può agevolmente diventare maggioranza". A questo popolo AN deve rivolgersi. E fin qua nulla di nuovo, né di particolar, anzi. Come non condividere? Il timore è che questo allargamento al centro, perché di questo si tratta in fin dei conti, faccia perdere l’identità del partito, la sua specificità, annegandolo in un grigiore democristiano d’altri tempi che nessuno vorrebbe. E Fini sa bene che questo è il punto: "Pensare di non avere un recinto obbligato per il consenso non significa affievolire l’identità ma rafforzarla. L’identità non è un prodotto museale: dal culto della memoria bisogna trovare la linfa per crescere e guardare agli altri, con analisi, idee e prospettive. Il nostro progetto dev ’ essere sempre più ambizioso, l’approdo al Ppe è il suo punto conclusivo, da raggiungere grazie alla nostra capacità di essere autenticamente popolari. Però, ripeto, l’identità non è una sterile ripetizione di dogmi".
La diatriba, il dualismo è tutto qui: c’è chi teme l’ annacquamento degli ideali della Destra per attrarre i voti di chi è "in pectore" di destra e c’è chi vede i "duri e puri" come un ostacolo alla modernizzazione del partito. Perché che la battaglia si vinca al centro, ormai lo sanno anche le pietre. Allora : è la Destra che deve spingersi al centro o il centro deve venire attratto da una Destra che si interroga, e risponde, sui grandi temi del presente in modo originale rispetto alle altre parti politiche? Intanto, sia detto per inciso, vediamo come gli ex democristiani, sia che militino nel centrodestra che nel centrosinistra, si diano da fare per riconquistare il "loro" centro
Gennaro Malgieri, che non ha bisogno di presentazioni, su Libero del 10 ottobre ha scritto un articolo il cui titolo dice già tutto : Lavoro, famiglia, soldi. La vecchia AN non c’è più. Meno tradizione più realismo, Fini l’ha resa forza riformista". Ed è vero. La Destra che Fini propone è una Destra riformista. Leggiamo ancora Malgieri :" Questo tipo di riformismo forse arriva a mettere in discussione la fisionomia della destra stessa fin qui conosciuta, ma non fino al punto di sradicarla dal suo contesto storico-culturale che è segnato da una tradizione i cui fondamenti nessuno intende cancellare, ma piuttosto vivificarli in una prassi politica che non si neghi al riconoscimento dei nuovi diritti e delle nuove sovranità". Insomma : meno intransigenza, più attenzione al mondo che cambia. Il che vuol dire rivedere alcune posizioni di intransigenza di fronte alle "nuove forme di socialità". Certo non dimenticando la centralità della famiglia. Ma qui è il punto: come? Come far sì che non si dia vita ad un "cerchiobottismo" ? Un colpo al cerchio e uno alla botte : apriamoci alle nuove realtà sociali ma non abbandoniamo l’idea tradizionale di famiglia; guardiamo all’integrazione degli immigrati ma purché non mettano in discussione i nostri valori e i nostri modelli sociali. Già: ma come?
Premesso che personalmente condivido la posizione di Malgieri, che è poi quella di Fini, osservo quanto quotidianamente tutto ciò, in Italia come altrove, che si tratti di nuove forme familiari, di immigrazione, di rapporto tra religione e cultura, non è che stia conoscendo momenti esaltanti. Il fatto, poi, di appartenere ad un popolo abituato a "mettere una pezza" sempre a tutto, a convivere con il pari e il dispari, ad avere leggi, norme, burocrazia che si affastellano, si elidono, si contraddicono a vicenda, beh
non mi consola proprio.
C’è il passo conclusivo di Malgieri che non mi convince molto : " Chi teme annacquamenti, abbandoni, "corruzioni" ideali si rassegni : le identità sono fatte per essere superate, per dar vita a nuove sintesi che saranno le identità di domani". Certo, questa visione hegeliana di Malgieri è condivisibile ma, scendendo dal piano puramente intellettuale, filosofico, cosa avverrà nel quotidiano? Insomma il problema è sempre lì: dov’è la discriminante fra nuova lettura del mondo, modernizzazione se volete, ed abbandono dei propri ideali e valori? Il confine è molto sottile. Vediamo, ad esempio, quanto avviene nella Chiesa, con la sua quotidiana esigenza di stare al passo coi tempi - pena la perdita dei fedeli - e la necessità di conservare l’autenticità del Messaggio. Certo la Chiesa è protetta dalla fiamma dello Spirito Santo. Anche AN ha la sua fiamma
ma non è la stessa cosa
Antonio F. Vinci