E’ iniziata l’Era Moratti!
Dopo Berlinguer, dopo Tullio De Mauro, eccoci al ministro Letizia Moratti; dopo "il fratello", dopo "lo studioso", ecco "la manager". Ed in effetti il neo ministro ha l’ esperienza, il piglio, la stoffa del manager. Inappuntabile nei suoi tailleurs, ricorda un po’ la Pivetti prima maniera. Il ministro ha iniziato con piglio deciso: già il mutamento del nome del ministero (non più della Pubblica Istruzione, perché l’istruzione è tale e basta, ma Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca); ma poi il blocco dei cicli, l’attenzione nei confronti della scuola non statale, la politica delle economie sul personale, gli aumenti di stipendio per i presidi, pardon: dirigenti scolastici, hanno fatto subito sentire una musica diversa. Ma, ovviamente, non è piaciuta a tutti. Così minaccia di scioperi generali, contestazioni, manifestazioni di piazza. E la Moratti ha ceduto praticamente su tutta la linea. La prima considerazione che verrebbe da fare è che siamo alle solite. Invece, questa volta, il cedere è stato un giusto riconoscimento alle giuste rivendicazioni del mondo della scuola. Perché qui hanno ragione un po’ tutti: la Moratti fa notare che il 95% dei fondi destinati alla scuola è costituito dagli stipendi ed è una cifra che va ridotta all’80% nel giro di cinque anni; d’altra parte lo stipendio degli insegnanti è tra i più bassi, non certo di livello europeo, ma è anche vero che le ore lavorative (almeno quelle effettivamente prestate a scuola) ci pongono in ultima posizione tra gli altri paesi. Insomma: non si va da nessuna parte se non si compiono riforme strutturali. Non si può continuare nella solita politica italiana della coperta troppo corta, che viene tirata da una parte, ma scopre contemporaneamente un’altra. E, comunque, era giusto reinvestire nella scuola i 2 mila miliardi risparmiati. Ma la scuola soffre di altri mali, purtroppo. Le riforme potranno aiutare, sicuramente; i nuovi programmi (o la riduzione delle materie da studiare) con l’aggiunta delle esperienze in stage saranno più efficaci; tutto quello che si vuole, ma altri, anche altri, sono i mali della scuola. Le retribuzioni più adeguate serviranno, certamente, e come no; ma non facciamoci illusioni: non saranno mai tali da reinventare una professione. Perché di questo si tratta: reinventare una professione, che non vuol dire solo professionalità. Cerco di spiegarmi. La professionalità in buona parte c’è già; viene rafforzata con i corsi di aggiornamento, i seminari, i corsi abilitanti, la programmazione, il POF, i Consigli di classe, i Collegi docenti, ecc. ecc. Eppure il ruolo dell’insegnante resta sempre frustrante. Non si contano più le statistiche, gli studi, le ricerche in merito. Ma, perché, veramente si crede che se, così, su due piedi, si aumentasse anche di colpo lo stipendio di 500.000 lire nette (per 800.000 docenti; provate a fare un po’ di calcoli
); ma sì, facciamo pure di 1.000.000 al mese e si passasse dalla retribuzione mensile media di 2.300.000 a quella di 3.300.000 cambierebbe molto? No! Ciò, però, non vuol dire : allora, tanto vale
Assolutamente, no. Il conseguimento di una retribuzione più dignitosa, meno offensiva, tale che non si possa dire che la retribuzione oraria è inferiore a quella di una collaboratrice domestica (ma almeno uguale
) va perseguito. Ma altra è la strada. Oltre il sacrosanto adeguamento degli stipendi, bisogna capire che la funzione docente non è più quella di prima, perché ha perso il suo smalto, il suo significato originario. Certo, si scopre l’acqua calda. Si sa che non è più come una volta: nel paese contava il sindaco, il notaio, il parroco, il maestro (era permessa qualche variante): giusto quattro o cinque personaggi per una partita a scopone! Ora i tempi sono cambiati, ma anche perché è cambiata - ovviamente - la società e il ruolo sociale del docente è mutato, ha perso peso. Ma i ragazzi, magari con il percing, sono pur sempre persone, esattamente come una volta, persone cui guardare con attenzione, con passione, col cuore e non solo con la scienza appresa e mal o ben ripetuta in classe o con la consapevolezza del portafoglio vuoto
Avere il senso del proprio lavoro, che è specifico, che non è confrontabile, che non potrà avere mai un’adeguata remunerazione, perché non è veramente remunerabile. Quanto costa essere una madre, parlare come un amico, crescere insieme
Bisogna avere il coraggio di riconoscerlo. Come tecnici del sapere, come trasmettitori di sapere - o, meglio, aggiornati dalla nuova didattica, come tutor dei nostri ragazzi - l’adeguamento economico va perseguito. Ma non c’è adeguamento che tenga per essere fino in fondo educatori. E’ questa la magica parola. Parlare di "missione" fa venire l’orticaria ai professori (eppure è tale almeno per lo stipendio che si riscuote a fine mese
); ma è proprio quel senso di missione che si è perso. Perché non avere il coraggio di dirlo?
Giosafatte