MARZIO: QUEL RAGAZZO A "CAMPO HOBBIT"
"Come un’aquila ora vola lui
sorridendo alle stelle e ancor più su
e il suo flauto suonando ci guiderà
verso l’alba che sicura è già".
In pochi ambiti come nella politica è necessario tenere lo sguardo sempre fisso in avanti, proteso al domani, alle nuove sfide che il futuro propone continuamente. Guai a lasciarsi distrarre troppo dal passato, da qualche cosa che anche solo assomigli a un ricordo, ad un rimpianto, ad una nostalgia. Così, le memorie e le testimonianze vengono spesso frettolosamente affidate agli storici ché ne facciano merce di analisi e discussione, lasciando libera la mente per affrontare le quotidiane incombenze e il continuo, incalzante contraddittorio. Dunque la politica "dimentica" facilmente anche i suoi figli migliori, cercando poi - magari - di rimediare con cerimonie che "istituzionalizzino" la memoria, la codifichino, costringano in qualche modo a rievocare nomi e volti in maniera "ufficiale".
La Destra che oggi è al governo della Nazione, invece, è una delle poche formazioni politiche che, avendo alle spalle una lunga storia fatta anche di sacrifici, di sofferenze e di lutti che hanno lasciato un’impronta indelebile nel suo carattere e nel suo orgoglio, non si vergogna di fermarsi ogni tanto per lanciare un sguardo a quel passato, duro ma temprante, rendendo così onore ai tanti (troppi) nomi di uomini eccezionali che l’hanno caratterizzata o che hanno apportato un tassello determinante alla sua crescita, alla sua maturazione, alla sua affermazione.
Uno di quegli uomini - il cui ricordo vorremmo meno "istituzionalizzato" proprio perché lo sentiamo fraterno e vicino - fu Marzio Tremaglia, il giovane figlio dell’attuale Ministro per gli Italiani all’Estero, che fu - nell’ultimo periodo della sua vita - indimenticato e rimpianto Assessore alla Cultura della Regione Lombardia. Oggi il nome di Marzio è ormai associato, nell’immaginario collettivo di tutti coloro che lo hanno conosciuto o solo sentito citare, al concetto stesso di cultura. Marzio è l’uomo che ha inventato un modo nuovo di promuovere i valori del radicamento, dell’identità e della libertà; la conoscenza della storia; il senso sacro del bello; la riscoperta delle radici culturali nazionali ed europee. E’ l’uomo che ha saputo far conoscere e apprezzare - per la prima volta in maniera qualificata e qualificante - ad un pubblico eteroclito opere, autori e idee non conformi all’appiattimento intellettuale, frutto di oltre cinquant’anni di omogeneo e forzato monopolio culturale.
Tuttavia, se si volesse davvero conoscere e capire la Destra di governo, bisognerebbe fare un passo indietro, alla metà degli anni Settanta, ad un periodo oscuro e tragico della storia del nostro Paese, percorso da una guerra civile strisciante che seminava lutti e distruzioni sociali. Bisognerebbe tornare indietro al 1977 per ritrovare Fini, Gasparri, Alemanno e tanti altri
molto più giovani, insieme ad un ragazzino, persino un po’ più giovane di loro: alto, magro, con gli occhiali e con un eterno sorriso sornione. Un ragazzino che era già un "pozzo di scienza" perché aveva letto di tutto e citava a memoria anche autori pressoché sconosciuti agli altri. Un ragazzino dal cognome impegnativo, perché comunque era figlio di un deputato già allora conosciuto in tutto il mondo per il suo impegno per gli italiani all’estero: Marzio Tremaglia.
Eccoci allora, nel 1977, a Benevento, a "Campo Hobbit 1", il primo grande raduno libero (cioè non organizzato dal partito) dei giovani di destra. Per la prima volta, in un’Italia che bruciava, in cui troppi loro coetanei li volevano emarginati o morti, centinata di giovani di destra di tutta Italia si trovano per parlare, cantare e scambiarsi esperienze. Nascono così, in quei pochi giorni frenetici e ansiosi: nuovi slogan, nuove immagini, nuove parole d’ordine, nuovi simboli, nuove canzoni, nuove bandiere. Nessuno di noi lo sapeva, ma quel giorno era un intero mondo che stava cambiando, un’era nuova che stava iniziando. Non lo sapevamo, ma da quei fermenti culturali sarebbero nati libri e case editrici, giornali e radio libere, nuovi strumenti di comunicazione e di espressione. Non lo sapevamo, ma da quelle prime canzoni strimpellate la sera sarebbe nato un movimento musicale trentennale. Non lo sapevamo, ma a Campo Hobbit nasceva una Destra giovane, innovativa e libera; nasceva una generazione che avrebbe condotto la Destra del passato lungo un nuovo percorso in cui tradizione e identità si possono coniugare con innovazione e cambiamento.
E Marzio era protagonista di quelle giornate. Sulla sua tenda sventolava la bandiera con l’albero e le sette stelle: "è il simbolo di Gondor, la bianca fortezza che si oppone al Signore del Male e alle sue orde di orchetti", ci spiegava con orgoglio essendo - confessiamolo - uno dei pochi che aveva letto tutto Tolkien e ne aveva compreso a pieno il valore mitico. Così, nei pomeriggi assolati, all’ombra del palco, Marzio ci raccontava la saga tolkiniana chiarendone i significati e, quando calava la notte, noi tutti diventavamo, in sogno, indomiti guerrieri di Gondor dietro alle bianche mura o coraggiosi hobbit che non avrebbero mai lasciato cadere l’anello nelle mani di Mordor, mentre le canzoni che avevamo appena ascoltato altro non erano che dolci canti elfici, gli slogan urlati sembravano roche invocazioni di Nani
e le parole di Marzio erano i saggi insegnamenti di Gandalf.
Così, mentre la Destra e l’Italia tutta, vivevano uno dei periodi più bui e dolorosi, in cui ogni giorno c’era da attendersi un attentato o un agguato omicida; quel branco di giovani idealisti e sognatori nutriva il cuore e la mente di emozioni. In quei giorni una nuova "Compagnia dell’Anello" si era messa in marcia: tutti diversi tra noi, ma uniti contro il regno del Male.
Non credo che oggi quella marcia sia terminata. Forse si è vinta la prima grande battaglia e Mordor è stato ricacciato. Oggi Aragorn è re e la lama che fu spezzata è stata finalmente saldata. Ma l’anello non è ancora stato distrutto. Il Potere, il Male, non sono ancora stati sconfitti. Frodo è ancora in marcia e noi tutti dobbiamo ancora aiutarlo
Se ci voltiamo indietro vediamo quanta strada è stata percorsa dal quel lontano 1977. Ma vediamo anche il prezzo che è stato pagato dalla "Compagnia". Di quei giovani che, con noi, in quelle notti cantarono e sognarono, qualcuno s’è perso, altri si sono fermati, pochi si sono arresi
troppi, invece, sono morti stroncati dalla violenza del nemico o dal fato.
E Gandalf? Anche lui non marcia più al nostro fianco. Tutti pensano che sia precipitato nell’abisso, là nel buio delle miniere di Morìa. Tutti lo abbiamo pianto e rimpianto. Eppure quando si tratterà di affrontare l’ultima, definitiva battaglia lui tornerà sulle ali del Re delle Aquile
Questo ci raccontava Marzio e questo è il senso del nostro "culto della memoria": la certezza della trionfo ultimo dello spirito sulla materia; del trascendente sull’immanente; della tradizione sul progresso; della civiltà sulla barbarie
della vita sulla morte. Perché le anime grandi non muoiono mai e, quindi, ne sono certo, Gandalf tornerà tra noi e avrà ancora le parole sagge e il sorriso dolce di Marzio.
Guido Giraudo