LA STORIA DI ETTORE MUTI
LA FINE DI "GIM DAGLI OCCHI VERDI"? UN ASSASSINIO FIRMATO BADOGLIO
Avrebbe riso, grassamente, alla sua maniera Ettore Muti da Ravenna nell’ascoltare "Vita spericolata" di Vasco Rossi da Zocca. Sì, perché per lui il pericolo era un fatto naturale, il condimento dell’azione per cui ha vissuto fin dai primi passi mossi in un’esistenza che nemmeno la più forzata fantasia cinematografica potrebbe mai pensare. Altro che canzonette. Ettore Muti fu un personaggio assolutamente unico, figlio di quella Romagna che partorì anche Benito Mussolini e Italo Balbo. Fu fascista ancora prima che il fascismo nascesse, lui che la storia ci consegna come uno dei più illustri uomini che vestirono la camicia nera. Ecco, a questo punto, dinnanzi ad una simile prosa Muti sarebbe già andato su tutte le furie e avrebbe investito chi scrive quantomeno delle peggiori contumelie che il vernacolo romagnolo fornisce. Già, Muti detestava le celebrazioni, le esaltazioni, gli ossequi sinceri e non. Odiava tutto ciò che il regime fascista, sotto la regia di Achille Starace, propugnava agli italiani fino alla nausea. Lui era un uomo di fatti (non pugnette, aggiungerebbe oggi un comico suo corregionale); un uomo di quel fascismo puro e irrazionale che si perdette nel regime delle parate e dei privilegi. L’audacia nell’avventura era la sua ragione di vita, al di là di ogni ideologia e di ogni morale. La guerra era il suo destino di maschio bello, forte spavaldo, ma anche sciovinista, violento, spaccone. Un soggetto da film, dicevamo, un soggetto raccontato mirabilmente da Arrigo Petacco, autore di "Ammazzate quel fascista! Vita intrepida di Ettore Muti" (Mondatori, euro 16,40). Con il suo stile gradevole e non accademico, che qualcuno definirebbe "romanzato", Petacco racconta la vita del ragazzo di Ravenna rimasto tale anche quando, quarantenne, una morte misteriosa, il 24 agosto 1943, lo tolse di mezzo. Il libro comincia proprio da "quella notte a Fregene", in cui fu prelevato dalla sua abitazione dai carabinieri del maresciallo Pietro Badoglio. La fine di Ettore Muti è sempre stata avvolta da un fitto mistero, ma l’autore ci aiuta a capire qualcosa di più, soprattutto circa le responsabilità del regio "galantuomo" poi artefice dell’"ignobil 8 di settembre". Gente squallida in modo meschino avrebbe posto fine all’esistenza ricca e affascinante dell’ex segretario del Pnf. Un’esistenza che lo ha visto appena quattordicenne fare, nel senso letterale del termine, carte false per potersi arruolare tra gli Arditi che combattevano sul Piave, il fiume fatale che lui attraversò a nuoto nottetempo per attaccare di sorpresa gli austriaci. Per quell’azione partirono in 800, tornarono in 22: l’imberbe Muti era tra quelli. Solo due anni più tardi era a Fiume con i legionari di D’Annunzio per un’altra avventura. Anche lì si distinse per coraggio e audacia. Il Vate non poté fare a meno di notarlo e di esserne entusiasta. E il giovanissimo Ettore - che amava farsi chiamare Gim, dal suo eroe dei fumetti - per il Poeta-soldato divenne "Gim dagli occhi verdi" cui dedicò persino dei versi. Poco dopo verrà il fascismo e per Muti sarà l’ennesimo appuntamento con la storia. Si distinse come durissimo squadrista nella sua città, quindi volle andare a conoscere Mussolini nel covo milanese di via Paolo da Cannobio e non fu che l’inizio. Dopo la marcia su Roma si distinse come intrepido e vincente aviatore in Abissinia, non resistette al richiamo della guerra di Spagna, fino alla partecipazione al secondo conflitto mondiale, in cui si guadagnò una quarantina di decorazioni, tra cui due medaglie d’oro e dieci d’argento. Ma Ettore "Gim" Muti degli onori "se ne fregava". Vinta una battaglia, non chiedeva altro che affrontarne una nuova: non era matto era semplicemente il "fascista perfetto". Così nel 1939 il duce lo volle nominare segretario del partito al posto di Starace. E fu un autentico terremoto, in quanto lui non era fatto per il regime e il regime non era fatto per lui. Mettere dietro una scrivania un "guerriero dell’Alto Medioevo", come lo definì lo stesso Mussolini, non fu una mossa molto azzeccata. Muti faceva a pugni con la burocrazia come era stato abituato a fare con i suoi avversari, detestava i rituali e i vizi della politica, che non capiva. Era un combattente duro, spietato sì, però era onesto e questo era un limite anche allora, purtroppo. Il segretario Muti avrebbe voluto rivoltare ogni singola federazione come un calzino e memorabili furono le sue ispezioni veramente a sorpresa (non come quelle precedenti che lo erano solo nelle parole di Starace) a cui giungeva a bordo del suo aeroplano e che si concludevano spesso con cicchetti e rimozioni di federali un po’ troppo cialtroni.
Tutto questo fu Ettore Muti da Ravenna: bambino discolo, giovane ribelle, stupendo combattente, fascista sui generis, forsennato amatore latino. Ma per averne un’idea davvero precisa non si può prescindere dalla lettura del libro di Arrigo Petacco.
Fabio Pasini