Con piacere pubblichiamo la lettera di un nostro lettore che, per essere un imprenditore di una microazienda, come lui stesso la definisce, ben rappresenta il disagio nella presente situazione politica di questa gloriosa realtà dell’ economia lombarda e italiana.
COME TI INCENTIVO LE PICCOLE AZIENDE...
Sino a qualche giorno fa ero una persona serena e ottimista innamorata del proprio lavoro. Rappresento il superstite della quinta generazione consecutiva di una famiglia di artigiani orafi. Gente tosta, indipendente, conscia di poter fare conto solo sulle proprie energie senza mire espansionistiche, ma ciascuno con la propria realtà mantenuta della conduzione familiare. (Presenza in Milano dal 1912 con 15 negozi). Appartengo pertanto a quella realtà delle microaziende che, secondo le opinioni della stampa, costituiscono l’ossatura dell’economia nazionale. La mia storia comincia nel 1952 quando all’età di 14 anni inizio l’apprendistato dapprima con uno zio, poi con mio padre, con una retribuzione simbolica e senza assunzione per la durata di nove anni. Contrariamente a quanto normalmente la gente pensa, non solo non mi sento sfruttato e maltrattato, ma tuttora sono estremamente grato a queste due persone che, trasmettendomi il loro sapere sulle lavorazioni e riparazioni orafe e orologiaie, sono state determinanti per la mia preparazione professionale. Contemporaneamente di sera, inizio, all’istituto Galileo Galilei la scuola comunale di orologeria di Milano, che dopo cinque anni mi porterà al diploma. Dal 1957 mi occupo anche dell’istruzione di apprendisti, uno per volta, dando loro praticamente lezione privata a tempo pieno. Alcuni di loro hanno avuto un brillante successo. Smetterò nel 1968, incalzato dai concetti sindacali: "non si può"
"è sfruttamento"
"vanno assunti regolarmente". Da molti anni ormai morto e sepolto l’artigianato ad alto livello, chi vuole imparare può rivolgersi a scuole private con costi adeguati dove docenti non sempre con adeguata preparazione impartiscono lezioni collettive. Nel 1961, sentendomi pronto, apro un piccolo negozio con un affitto stratosferico cui faccio fronte a fatica. Inizio molto duro: dormire nel retrobottega per evitare l’assicurazione sugli oggetti in riparazione di proprietà dei clienti, mentre l’autorità impiega sette mesi a concedermi la licenza di vendita, poco male perché non avevo un gran che da vendere. In questo periodo apprendo che, nonostante lavori dalle 9 alle 20 senza intervallo, non posso considerarmi un lavoratore visto che sono un imprenditore autonomo. La cosa mi lascia perplesso. Nel 1968 mi trasferisco, sempre in affitto, in un negozio più grande; è con me mia madre, già coadiuvante nel negozio di mio padre nel frattempo ammalatosi gravemente. Rimarrà con me fino al 1998 totalizzando settantasei anni lavorativi. Trascorrono gli anni: il restauro degli orologi antichi e dei gioielli antichi , la creazione di gioielli unici, il taglio delle gemme di colore, il diploma di gemmologo, l’incarico non retribuito di assistente di laboratorio serale ai diplomandi in gemmologia , tutte attività che mi hanno riempito la vita dandomi grandi soddisfazioni professionali e personali. Nel 1996, avendo compiuto 35 anni di contribuzione, percepisco la prima pensione. Mi viene alla mente una frase di mio padre: "L’INPS è una tassa come un’altra, pagala e se poi ti arriverà qualcosa sorprenditi". Ben presto l’errore di mio padre non sembra più tale. Apprendo che non essendo un lavoratore, ma un imprenditore indipendente che continua a lavorare, la pensione mi viene decurtata di una grossa fetta. Ad un certo punto un legislatore si rende conto dell’incongruenza ed elimina questa ingiustizia, ma per poco tempo. Mi risulta che ora il lavoratore che continua il suo incarico da pensionato, percepisce uno stipendio superiore. Nel 2003, dopo 42 anni di attività in affitto, la società proprietaria mette in vendita l’immobile in cui lavoro. All’età di 65 anni, dopo oculati calcoli, acquisto il negozio con mutuo decennale. Il passo è impegnativo anche perché i miei figli hanno scelto strade diverse. 2006, nuovo Governo. Leggo sulla stampa: "la situazione è grave
dobbiamo tirare la cinghia per risanare il paese. Tutti devono collaborare". Decreto governativo retroattivo di cinque anni, se ho ben capito: arimorta l’IVA sugli immobili non può essere riconsiderata come tale e quindi messa in detrazione. Coloro che l’hanno fatto devono pagarla allo stato in unica soluzione (in tre anni). Non vedo in coscienza quale crimine abbia commesso non riuscendo, per motivi diversi, ad acquistare il mio negozio prima del 2003 per essere trattato come facevano le SS con la decimazione: 1, 2, 3,
questo va al muro. Per far tacere il mio senso di giustizia sarei contento di vedere emettere un decreto secondo il quale, oltre a trattare in egual modo tutti gli altri contribuenti, si rendesse obbligo ai membri dell’attuale governo di versare alle casse dello stato il 20% dei propri stipendi ed eventuali altri proventi degli ultimi cinque anni. Questo farebbe tornare il sorriso sul mio volto.
Luigi