Il volume di Claudia Cernigoi, giunto alla seconda edizione riveduta ed ampliata, a seguito di quella del 1997, è stato presentato anche a Udine, il 22 febbraio, dopo le analoghe iniziative svoltesi nei giorni precedenti a Trieste e Perugia. Oltre all’Autrice, sono intervenuti l’Editore Kappa Vu, in persona di Alessandra Kersevan; il Consigliere regionale del PRC Christian Franzil; il Presidente Onorario dell’ANPI Luigi Raimondi; il Prof. Josep Pirjevec dell’Università di Trieste, ed il ricercatore storico Sandi Volk, che ha curato la prefazione.
Il taglio degli interventi è stato piuttosto omogeneo, insistendo sulla tesi secondo cui le foibe sono uno strumento di azione politica in funzione anticomunista, con lo scopo di minimizzare le responsabilità del fascismo e di ricondurre il movimento partigiano alla condizione di "banditismo"di cui ai proclami della RSI (Franzil); riproponendo un’interpretazione della storia per la quale i martiri delle foibe sono vittime del fascismo, nell’ambito di una concezione "proletaria" ben diversa da quella "borghese" (Raimondi); sostenendo che l’attuale propaganda della destra si fonda su motivi uguali a quelli utilizzati nell’ottobre 1943, dopo la riconquista dell’Istria da parte della Wehrmacht, col duplice scopo di implementare l’ostilità verso Croazia e Slovenia a supporto dell’espansionismo italiano, e di demonizzare tutta la sinistra (Pirjevec); sottolineando che la storiografia ha avallato la propaganda, con un’operazione che è diventata d’interesse nazionale con l’istituzione del "Giorno del Ricordo", ancorché di nessun onere per la finanza pubblica, e con il disegno di legge per la parificazione dei combattenti ex RSI ed il conseguente riconoscimento dei correlati diritti (Volk); ed infine,affermando che la "vulgata" ufficiale non è conforme ai documenti storici, cosa che rende necessaria, a più forte ragione, una sorta di "guerriglia" culturale contro i "cannoni" della televisione pubblica, ed il loro recente utilizzo in chiave governativa (Kersevan).
Il Prof. Pirjevec ha soggiunto, tra l’altro, che qualche violenza indubbiamente ci fu, ma che fu abbondantemente enfatizzata da parte italiana, e soprattutto, che il movimento partigiano era improntato ai principi fondamentali dell’internazionalismo, propugnava l’idea della fratellanza, ed era ben lungi, in definitiva, dall’avere assunto tattiche persecutorie, ed ha posto in luce la gravità di una strategia mirante ad invalidare questi caratteri essenziali della lotta partigiana. Del pari, Volk si è soffermato sulle falsità (a suo giudizio totali) della propaganda di destra, anche a proposito di aspetti collaterali, ma psicologicamente condizionanti, come il presunto getto di un cane nero nelle voragini carsiche, unitamente agli infoibati.
L’intervento conclusivo dell’Autrice, Claudia Cernigoi, ha spiegato le matrici dell’opera, riassumibili nella necessità di ricostituire una "contabilità" attendibile delle vittime, sia per i fatti istriani del 1943, sia per l’occupazione di Trieste, e degli altri centri giuliani, nella primavera del 1945; e nell’opportunità di approfondire le ragioni specifiche per cui vi furono manifestazioni di "giustizia proletaria" a carico di persone che si erano rese responsabili di delitti a sfondo politico. In particolare, l’Autrice si è soffermata sulla storia della miniera di Basovizza, in cui la propaganda di destra colloca un numero incalcolabile di vittime, mentre i documenti ufficiali, e le stesse testimonianze, a suo dire, non attesterebbero alcunchè, fatta eccezione per una spia dei nazisti che sarebbe stata fucilata dopo un processo sommario, e quindi, gettata nella miniera.
In guerra, ha soggiunto la Cernigoi, vige la legge cruda della violenza, nei cui confronti la sola alternativa, come si legge nella conclusione del volume, è quella della pace. Motivo di più, a detta dell’Autrice, per esprimere rammarico e sconcerto, a fronte di un atteggiamento della sinistra di sostanziale adesione alle tesi della propaganda ex-fascista, riassunta dalle recenti affermazioni de "L’Unità" circa l’odio slavo nei confronti degli italiani.
Diverse affermazioni contenute nelle relazioni del 22 febbraio non possono essere condivise, pur dovendosi dare atto alla Cernigoi di avere evidenziato la necessità di una storiografia basata sulla raccolta e sull’interpretazione di documenti probanti, e non già su illazioni, nè tanto meno, sulla distorsione dei fatti. In questa sede, è improponibile formulare contestazioni analitiche ad un’opera estremamente dettagliata come "Operazione foibe tra storia e mito": tuttavia, a parte il fatto che la stessa Cernigoi indulge abbastanza spesso a supposizioni, e ad affermazioni per sentito dire, non confortate da indiscutibili elementi oggettivi, nessuno potrà negare, perchè confermato dagli stessi interessati, che furono i delfini di Tito, Edvard Kardelj e Milovan Gilas, ad ammettere il disegno di pulizia etnica impostato dal Maresciallo a danno degli italiani, nel quadro di un comunismo nazionale non certo conforme alla descrizione di Pirjevec, come avrebbe dimostrato già dal 1948, del resto, la rottura con Mosca.
L’utopia comunista, alla luce dell’esperienza di tanti Paesi, è costata milioni di vittime innocenti, ed il fatto che la sinistra italiana lo ammetta in modo sempre più sistematico, torna a suo onore. Non si vede perché analoghe ammissioni non debbano valere anche per le foibe, a prescindere dalle eleganti disquisizioni di Claudia Cernigoi, che talvolta sembrano scaturire dalla penna di un legale, anzichè da quella di una ricercatrice storica: ad esempio, sulle condizioni in cui furono recuperati i cadaveri di Norma Cossetto o di Giuseppe Cernecca, due Nomi emblematici della tragedia giuliano-dalmata. Le vittime restano tali, senza vita e senza colpa: al pari, per dirne una, di quelle dei garibaldini e dei piemontesi, durante la conquista del Sud, anche se l’oleografia del Risorgimento le ha negate con singolare pervicacia. E’ auspicabile che analogo errore non venga permanentizzato, a proposito delle foibe, nell’oleografia della Resistenza.
Intanto, per dirla con l’antico saggio, "indocti discant, et ament meminisse periti".
Carlo Montani