Letture - Numero 30

 

* E’ desolante che in questi ultimi dieci anni non sia stato avviato un serio, vero dibattito tra le due sponde del pensiero. Non s’è fatta cioè vera cultura nazionale.Laddove non sono partiti gli insulti, abbiamo assistito ai soliti, stucchevoli dibattiti su cosa sia di destra e cosa sia di sinistra, su chi togliere e su chi inserire nel Pantheon.Sono dieci anni che non facciamo altro che scambiarci o rivendicarci scrittori, più o meno come da piccoli giocavamo alle figurine. E siamo arrivati al punto di chiederci per chi votano Pippo, Pluto e Paperino.
E’ anche vero che questo non è forse più il tempo degli Sciascia e dei Niccolai. Non più il tempo delle splendide individualità e dei profeti solitari. E’ il tempo degli "operai" e degli organizzatori culturali.Almeno a destra. Diventiamo tutti un po’ più umili e impariamo a fare squadra. E chi vivrà vedrà.

(Aldo Di Lello in Secolo d’Italia del 26 maggio 2005).



* Costruirsi l’immagine di leader moderno e antioscurantista. Ma soprattutto differenziarsi da quel Pier Ferdinando Casini col quale i rapporti sono ormai al minimo storico: troppo ben introdotto Oltretevere per poterlo insidiare su quel fronte; troppo gettonato come futuro capo del centro-destra ogniqualvolta si parla del dopo-Berlusconi. Apparentemente, i motivi per cui Gianfranco Fini ieri è tornato a ribadire la sua posizione sui referendum di domenica e lunedì prossimi sono tutti qui.

(Mario Prignano, I tre motivi per cui Fini dice sì al referendum, in Libero, 9 giugno 2005)



* Sì, tutti contro Fini. Ma è con Fini e grazie alla sua leadership che siamo diventati una destra moderna e democratica. Una storia che non si può prendere a spicchi. Ce l’abbiamo fatta, oggi il nostro leader è rispettato e va in giro per il mondo come rappresentante della diplomazia italiana. Penso che bisognerebbe ripartire da qui.

(Ignazio La Russa in un’intervista rilasciata a Roberto Scafuri, Il Giornale, 11 giugno 2005).



* Il disagio parte da lontano, non è il referendum ad averlo attizzato. Anzi, tengo a dirle che Fini ha preso una posizione di coscienza che in sé e per sé è rispettabilissima. Solo che lui è leader di un partito e, metodologicamente, ha commesso un errore molto grave.Guardi i dati: al voto è andato il 25% degli elettori…come non mettere in evidenza l’incapacità di previsione quando si è sostenuto che era un errore il non voto? Avrei capito si fosse realizzato un testa a testa sul quorum, avrei capito la scelta personale - anch’io su alcuni temi ho fatto battaglie di coscienza- ma scoprire che la destra non ti ha seguito sulla strada indicata dovrebbe far riflettere. O no?

(Domenico Fisichella in un’intervista rilasciata ad Alessandro Caprettini, in Il Giornale, 14 giugno 2005).



Dicono che lei sogni una AN "ratzingeriana", è così? E’ una stupidaggine pazzesca. Fra i giovani che hanno fatto campagna per il referendum si respira l’aria di un’68 al contrario. Ha vinto l’atteggiamento attivo, non certo l’impegno di un gruppo di bigotti clericali…

Ma Fini pensa a una destra gollista e laica? Ebbene? Anche io. Però il modello che ho in mente è Sarkozy, o il partito repubblicano americano che vince quando ritorna ai valori della tradizione religiosa.

La fecondazione è stata il terzo strappo di Fini, dopo il voto agli immigrati e Salò. C’è una differenza sostanziale. A parte il metodo che non ho condiviso, quelle scelte andavano comunque in direzione di un’apertura. In questo caso, invece, i tre sì ci hanno chiuso le porte di un dialogo con il mondo cattolico che ora deve essere riaperto.

(Non voglio sfidare Fini, sfido tutto il mio partito, intervista di Luca Telese a Gianni Alemanno, in Il Giornale del 15 giugno 2005).