Solo Vittorio Sgarbi poteva mostrarci un Leonardo così vicino a noi. Nel suo “Leonardo – Il genio dell’imperfezione”, ed. La nave di Teseo, nel pieno delle celebrazioni leonardesche ci viene mostrato un Leonardo “imperfetto”, e per questo più vicino a tutti noi: ”Leonardo è stato ogni cosa: scrittore, architetto, scultore, pittore; ma sebbene di lui vi siano immagini innumerevoli, non si conoscono i suoi progetti architettonici, e le sue sculture. In lui il tentativo è stato sempre più forte della realizzazione delle cose. La pittura è il momento più pieno di questa carriera incompleta, frammentaria e divisa, che lo rende così vicino alla sensibilità contemporanea”. Un Leonardo “imperfetto”, che realizza le sue opere come l’altro genio di quegli anni, Michelangelo, per il quale adoperiamo l’espressione di “non finito”. Ma se sostanzialmente è la stessa cosa, per Leonardo l’ ”imperfezione” è il segno del suo essere uomo, della incapacità ( o volontà) di tradurre in opera finita, perfetta. Dice Vasari nelle “Vite” – “Trovasi che Lionardo per l’intelligenza de l’arte, cominciò molte cose e nessuna mai ne finì, parendoli che la mano aggiungnere non potesse alla perfezione de l’arte nelle cose che egli si imaginava, con ciò che si formava nella idea alcune difficultà tanto maravigliose che con le mani, ancora che elle fussero eccellentissime, non si sarebbono espresse mai”. Nelle pagine scritte da Sgarbi troviamo un Leonardo che non ti aspetti. Arriva a Milano nel 1483 con uno strumento musicale, la lira, che aveva fabbricato e con il quale superò i musici con i quali si misurò. Non solo. Leonardo risultò il miglior dicitore di rime all’improvviso: insomma, una specie di menestrello. Ma è lo stesso che costruisce un automa, un leone, che camminò per alcuni passi in occasione della visita di Luigi XII di Francia a Ludovico il Moro: un automa da cui fuoriuscivano i gigli, simbolo della Francia. E così, tra riproduzioni delle opere di Leonardo e dotti riferimenti ad altri pittori del tempo, Sgarbi ci accompagna sino all’ “ultima Cena”. E qui scopri che il deterioramento del capolavoro è dovuto non al tempo o ad altri fenomeni ma ad imperizia di Leonardo: il Maestro non dipinse quando l’intonaco non era ancora asciutto, come vorrebbe la tecnica dell’affresco, ma dipinse a secco. Così, commenta Sgarbi “ con una analogia potremmo dire che l’opera che vediamo ora sta all’originale come la Sindone sta al corpo di Cristo”. Insomma Leonardo, invece di dipingere il suo capolavoro in una serie limitata di giornate, come voleva la tecnica, poneva mano all’opera quando ne aveva voglia.
GIOSAFATTE