LEO LONGANESI
UN AFORISMA VI SEPPELLIRA’
"Lei è democratico?" / "Lo ero" / "Lo sarà ancora? / "Spero di no" / "Perché?"/ Perché dovrebbe tornare il fascismo; soltanto sotto una dittatura riesco a credere nella democrazia".
LEO LONGANESI (Parliamo dell’elefante)
"Democratico sì, ma dopo di lei". "La repubblica è fatta, bisogna compatirla". "Creda a me: non creda a nulla". "Mussolini ha sempre ragione". Tagliente, sarcastico, a volte "reazionario", mai banale. Leo Longanesi, il "carciofino sott’odio" (la definizione è sua) del giornalismo italiano, era così. Prendere o lasciare. Giornalista di genio, editore d’assalto, scopritore di talenti, virtuoso dell’aforisma. "Longanesi - ha sottolineato Marcello Veneziani, riprendendo un pensiero di Nietzsche - riusciva con un aforisma a dire quello che altri non riescono a spiegare in un libro". Fascista ma frondista, conservatore nell’Italia antifascista, pensatore "contro", sempre e comunque. Capire Longanesi vuol dire comprendere le sue (feconde) contraddizioni. Ha cercato di farlo Raffaele Liucci con il suo saggio, edito da Marsilio, "L’Italia borghese di Longanesi" (euro 18). E, lo diciamo subito, ci è riuscito. Tanti gli aspetti del pensiero e dell’opera longanesiana approfonditi nel libro di Liucci. In particolare la battaglia giornalistica condotta da Longanesi con "il Borghese" dal 1950 al 1957. Una testata controcorrente in un’Italia che si stava votando alla "religione" dell’antifascismo. E che "guardava a sinistra", per riprendere un’affermazione di Alcide De Gasperi. Beh, in quell’Italia Longanesi ebbe il coraggio di essere fieramente "di destra" e di definirsi "anti-antifascista". Ma com’era la destra di Longanesi? I suoi caratteri principali furono delineati dallo scrittore romagnolo nel suo libro "Il destino à cambiato cavallo", del 1951. Cavalli di battaglia che si ritrovano anche nel "Borghese" longanesiano: inflessibile anticomunismo, decisa avversione alla retorica dell’antifascismo, critica da destra alla democrazia dei partiti, denuncia del declino dello stato repubblicano, tentativo di formare uno schieramento di destra alternativo alla Democrazia cristiana. Ce n’è abbastanza per entrare nel mirino di tutta l’Italia della Resistenza. La destra di Longanesi era una "destra psicologica", che egli contrapponeva alla "destra economica": "La destra psicologica è un atteggiamento ideale, un modo di interpretare i fatti storici, di restare fedele a un preciso sentimento nazionale: è un atto di fede. La destra economica, al contrario, non ha idee: essa difende soltanto certe condizioni sociali o, per meglio dire, capitali e privilegi precisi; essa sta su posizioni conservatrici che hanno sì una logica, ma che non sono legate a nessuna tradizione politica". Il brano risale a un numero del "Borghese" del 1955. Ma delinea una contrapposizione assai utile anche ai giorni nostri. Sì, perché l’uomo di destra, il "vero conservatore" per dirla alla Prezzolini, è il difensore di un pensiero politico, non di interessi di bottega. È bene ribadirlo, visto che il martellamento della propaganda prima comunista, ora post-comunista, ha insinuato un pregiudizio anti-conservatore basato sulla teoria della lotta di classe. La destra psicologica longanesiana è fortemente critica nei confronti della democrazia di massa. Una critica da destra, a favore della libertà degli individui e contro i dispotismi delle maggioranze. "La democrazia delle classi aristocratiche e colte, che si chiama liberalismo, è gradevole - spiega Longanesi -; ma quella popolare è intollerabile. Una fila di carrozze è elegante: una fila di Vespe disturba". Ricorre qui il sentimento per il bel tempo passato, che ricorre spesso nell’autore di "Parliamo dell’elefante". Longanesi si sentì storicamente e culturalmete più legato all’Ottocento che al suo secolo, il Novecento. L’amore per il secolo "decimonano" (come venne scritto, ironizzando sull’altezza, anzi sulla bassezza, del Leo nazionale) non lo abbandonò mai. E costituì la forza, ma anche il limite del suo pensiero politico. Nel tempo delle masse, Longanesi parteggiava per le élite del merito. Sentimento in parte impolitico, ma legato alla convinzione che "lasciare libertà alle masse significa perdere la libertà. Sembra un paradosso, e non lo è". L’anticonformismo è la croce e la delizia di Longanesi. Nel 1939, durante il fascismo, il suo modo disincantato di fare giornalismo gli procurò la chiusura di "Omnibus", il primo rotocalco italiano, da lui fondato due anni prima e che ebbe un gradissimo successo. Nell’Italia antifascista, il suo spirito refrattario ai dogmi democristian-comunisti lo costrinse all’angolo. Ma forse era proprio questo che cercava: la battaglia solo contro tutti. Anche se, nell’avventura del "Borghese" fu affiancato da collaboratori del calibro di Prezzolini, Ansaldo, Montanelli. Una battaglia giornalistica e intellettuale, quella longanesiana, che rifiutò sempre la demonizzazione acritica dell’esperienza fascista. Un revisionismo ante litteram, sentimentale prima ancora che storiografico. E non privo di contraddizioni. Fu il leader socialista Pietro Nenni a sottolinearle, commentando il libro "In piedi e seduti": "È un libro amaro, scettico, nichilista. Una stroncatura degli italiani. Vi si sente una segreta nostalgia di Mussolini e nel contempo l’odio per il fascismo. Tutto e tutti sono messi alla berlina". Sono più le luci o le ombre nel percorso cultural-politico di Longanesi? Un merito sicuramente l’ebbe, come sottolinea Liucci in riferimento al "Borghese": il giornale da lui diretto, infatti, "si pose esplicitamente e pubblicamente il problema del rapporto tra una destra culturale e una destra politica non antisistema, che operasse nell’arena parlamentare". Una riflessione seria. Per vederne gli esiti politici si è dovuto però aspettare fino agli anni Novanta, con la nascita del Polo delle libertà. Ma chissà se l’identità dell’attuale destra italiana sarebbe piaciuta al liberal-conservatore Longanesi. E chissà cosa avrebbe detto, il "carciofino sott’odio", della sinistra post-comunista, no global e girotondina. Azzardiamo la risposta, riprendendo un altro dei suoi celebri aforismi: "La destra? Ma se non c’è nemmeno la sinistra in Italia! (
) Qui non c’è nulla: né destra, né sinistra. Qui si vive alla giornata, fra l’acqua santa e l’acqua minerale".
Massimiliano Mingoia