De Clade - Numero 33

SOMMARIO DELLA SEZIONE:

  • DE CLADE
  • L’ITALIA E’ VERAMENTE IN DECLINO?


    Pubblichiamo due articoli del nostro nuovo redattore Maurizio Turoli, al quale diamo il benvenuto nella famiglia del Barbarossaonline.

    DE CLADE
    Ragionamenti intorno ad una (auspicata dai cattocomunismi) possibile disfatta

    Il programma iniziale di Berlusconi era preciso e sposava la linea già seguita in Gran Bretagna dalla conservatrice Margaret Thatcher ma anche dal laburista Tony Blair e negli Stati Uniti da Ronald Reagan ma anche da Bill Clinton. In sostanza, una linea liberale e liberista:
    • ritiro spinto dello stato dall’economia;
    • riduzione significativa delle imposte;
    • introduzione di forte flessibilità nel lavoro;
    • vasto programma di infrastrutture,queste così gestite dal governo.
    I risultati ottenuti in Gran Bretagna e negli Stati Uniti sono stati ottimi. Quando nel 2001, Berlusconi è stato nominato capo del governo, l’economia europea e italiana stavano fortemente declinando ed il fenomeno si è ulteriormente accentuato con l’attentato dell’11 settembre. A quel punto non esistevano più le condizioni ideali per un programma stile Thatcher, che richiede, specialmente per abbassare le tasse, un’economia in crescita. Berlusconi aveva due strade possibili: dire chiaramente agli elettori che la congiuntura internazionale non consentiva di attuare il programma; oppure attuare comunque il programma scegliendo di somministrare dosi massicce in modo da avere sì una caduta ulteriore del ciclo economico ma con un sicuro forte rimbalzo al primo accenno di ripresa internazionale. Berlusconi, invece, ha scelto una terza via, quella del tirare a campare, né carne né pesce, nella speranza che la congiuntura si riprendesse e quindi fosse possibile attuare il programma. Il suo primo ministro dell’economia, Giulio Tremonti, ha impiegato tutte le risorse nella cosiddetta finanza creativa, cioè nel varo di strumenti-tampone per far apparire comunque i conti pubblici in condizioni accettabili, entro i limiti consentiti dal funesto Patto di stabilità dell’Unione europea. Il tempo è così passato; la situazione si è ulteriormente aggravata a causa della guerra in Iraq. E’ arrivata la stagione delle elezioni sia in Europa sia negli Stati Uniti. In Europa, con la consultazione per le elezioni del nuovo parlamento, negli Stati Uniti per la scelta del nuovo presidente. Pur di arrivare al voto con l’economia in ripresa, Bush, ha attuato una spietata politica neokeynesiana, lui che è liberista, facendo salire alle stelle il debito pubblico statunitense e facendo cadere progressivamente il dollaro rispetto a tutte le monete ed in particolare rispetto all’Euro. In tal modo ha ridato slancio ai prodotti americani, o comunque venduti dalle aziende americane anche se fabbricati in paesi in via di sviluppo. Le conseguenze negative sono state tutte per l’Europa, inchiodata dal Patto di stabilità a una Politica monetaria rigidissima con tassi per lungo tempo superiori a quelli americani arrivati quasi a zero. A risentirne più di tutti è stata l’Italia, priva di capacità competitiva avendo un sistema produttivo centrato in settori a scarso livello tecnologico. È stato in questo contesto che Berlusconi, rendendosi conto dello scorrere del tempo e dell’imminenza delle elezioni, ha cercato di tener fede alla più impegnativa delle sue promesse, la riduzione delle tasse. Purtroppo è stato preso fra l’incudine del deficit pubblico da tenere al di sotto del 3% per i vincoli europei e il martello del Patto con gli elettori per le riduzione delle imposte. Il capo del governo è riuscito a partorire un taglio ridottissimo, quasi risibile, di appena 400 euro medi, il cui effetto e stato più simile a quello di un boomerang che a quello di soddisfare una promessa.

    A tutto ciò se si aggiunge il problema politico puro, cioè la possibilità di far convivere nello stesso schieramento forze ideologicamente agli antipodi come la Lega di Umberto Bossi da una parte e l’Udc e An dall’altra, si ha l’esatta misura di come il risultato delle elezioni regionali fosse inevitabile. In un regime maggioritario e tendenzialmente bipartitico o con due schieramenti definiti, la sconfitta di una parte non dovrebbe essere mai un dramma per il paese, poiché l’intercambiabilità è l’essenza stessa del maggioritario. Invece non si può stare tranquilli poiché il cancro politico della Casa delle libertà è presente né più né meno anche nello schieramento di centro-sinistra. Infatti Rifondazione Comunista é l’omologa della Lega nei confronti di UDEUR e parte della Margherita. In una situazione economica in cui è necessario poter contare su una politica economica fondata sulla flessibilità e sul rilancio della capacità competitiva della piccola e medio piccola impresa, rischiamo di avere future decisioni di politica economica fondate sulla tassazione dei redditi di impresa e investimenti destinati ad alimentare le grandi imprese che si sono arricchite con il consociativismo ed i finanziamenti pubblici a pioggia. Il collante del centro-sinistra è l’odio verso Berlusconi e la CDL L’esperienza pregressa ci ha insegnato che in materia di politica economica e di politica estera le divisioni sono profonde ed insanabili. Conseguentemente cedere alla tentazione di perdere le elezioni illudendosi di andare ad ulteriori consultazioni dopo un paio d’anni di governo di centro sinistra è non solo sbagliato ma letale per l’Italia. La sinistra ha sempre governato mediante nomenklature. Vale a dire oligarchia economico-culturale autoreferenziale e totalizzante. Chi non rientra nel club degli eletti è marginalizzato, se non ghettizzato. Il grande capitale assistito ed i nulla facenti godranno del lavoro di molti micro - imprenditori e lavoratori autonomi. Il popolo della partita IVA è avvisato.

    Maurizio Turoli


    L’ITALIA E’ VERAMENTE IN DECLINO?
    ALCUNE RIFLESSIONI SULLA CAPACITA’ COMPETITIVA DEL MADE IN ITALY


    Il nostro paese ha fortemente ridotto la sua capacità produttiva in settori industriali nei quali era stato fra i primi al mondo quali:
    • l’informatica
    • la chimica
    • il tessile
    • il calzaturiero


    L’Italia industriale è uscita quasi completamente da mercati in continua crescita quali l’elettronica di consumo.

    Rimane l’automobile (monopolio FIAT); la cui crisi procede peraltro verso esiti al momento imprevedibili e comunque incerti

    I costi economici e sociali di tali vicende sono stati immensi, infatti rischiamo di diventare una colonia industriale di altre Nazioni.

    Aver lasciato scomparire interi settori produttivi nei quali si eccelleva, aver trascurato le opportunità di sfondare in quei settori dove esistevano le risorse tecnologiche e umane per poterlo fare è stata un’impresa negativa iniziata oltre trent’anni fa e completata con l’ingresso nell’euro.

    Nel 1963 (all’epoca del primo governo di centro-sinistra presieduto da Amintore Fanfani ) Valletta, Amministratore delegato della FIAT pronuncio’ un memorabile discorso in Parlamento.

    Concluse il suo intervento con un’affermazione che avrebbe condizionato l’intera politica economica italiano fino ad oggi: "Cio’ che e’ buono per l’Italia e’ buono per la FIAT"

    In quel periodo la FIAT aveva una partecipazione anche nella Olivetti.

    Valletta, nell’assemblea dei soci del 30 aprile 1964 pronunciò la condanna a morte della divisione elettronica con le celeberrime parole: "La società di Ivrea è strutturalmente solida e potrà superare senza difficoltà il momento critico. Sul suo futuro però pende una minaccia, un neo da estirpare: l’essersi inserita nel settore elettronico, per il quale occorrono investimenti che nessuna azienda italiana può affrontare".

    In realtà gli investimenti per far crescere la Divisione Elettronica si aggiravano su poche centinaia di miliardi di lire in più anni (circa 25 milioni di attuali euro).

    In realtà il capitale di comando della FIAT (la Famiglia Agnelli e parenti) non aveva mai tollerato che la Olivetti offrisse alle proprie maestranze:
    • retribuzioni e servizi sociali migliori
    • maggiore libertà sindacale


    Quindi l’invito alla dismissione di una Divisione altamente innovativa va letta come l’occasione di ricondurre nei ranghi Adriano Olivetti ed i suoi dirigenti.

    Qualche anno dopo, in piena stagflazione e crisi delle istituzioni, l’avvocato Agnelli, divenuto presidente FIAT e di Confindustria, inaugurò la stagione della "concertazione" o del "consociativismo".

    Era il periodo in cui il Ministro del lavoro (all’epoca il democristiano e torinese Carlo Donat Cattin , fondatore della corrente Forze Nuove) imponeva ai datori di lavoro i contratti, concordati preventivamente con la CGIL, CISL ed UIL (la famigerata Triplice)

    Gli imprenditori, in cambio di cospicui finanziamenti pubblici, avevano abdicato al loro ruolo cedendolo alla politica (prepensionamenti, incentivazioni all’esodo, casse integrazioni guadagni senza controlli)

    Il vero declino industriale è cominciato in quel periodo quando la FIAT, forte dei finanziamenti pubblici acquisì una serie di aziende, soprattutto in Lombardia.

    Fu la rivalsa di Torino (ex capitale sabauda d’Italia) nei confronti della mal tollerata industria lombarda (regione che con Casati e Cattaneo aveva considerato i Savoia un male necessario)

    Nell’arco di tre lustri si poté assistere alla sistematica distruzione del sistema industriale lombardo mediante l’incorporazione ed il successivo smantellamento o pesante ridimensionamento, di aziende quali:
  • Autobianchi (azienda di Desio assorbita dalla Lancia nel frattempo divenuta FIAT)
  • Innocenti (Milano)
  • Maserati (Milano)
  • Gilera (Arcore)
  • Moto Guzzi (Mandello Lario)
  • Veglia (Milano)
  • Borletti (Milano)
  • Magneti Marelli (Sesto san Giovanni)
  • Falk (Sesto San Giovanni)
  • Ernesto Breda (Sesto San Giovanni)
  • O M (Brescia e Milano)
  • Alfa Romeo (Milano)


  • Tra dipendenti diretti ed indotto, la Lombardia ha dovuto provvedere alla riconversione od al ricollocamento di 195.000 (centonovantacinquemila) persone.

    Il piccolo imprenditore si è trovato soffocato tra lo strapotere contrattuale del "capitale assistito" (quando le cose vanno bene i profitti sono i miei, quando vanno male pagano gli italiani) e le restrizioni creditizie che le banche all’epoca adottarono su imperativo della Banca d’Italia di Carlo Azeglio Ciampi.

    Sono passati gli anni, sono mutati i governi, le compagnie bancarie hanno subito profonde modificazioni ma il problema di fondo è rimasto.

    E’ sotto gli occhi l’attuale vicenda di Banca d’Italia.

    Più che sindacare sugli ultimi comportamenti di Fazio, sarebbe opportuno andare a verificare quali legami parentali abbiano portato alla costituzione di Capitalia e del rafforzamento progressivo dei Banca Popolare di Lodi.

    Infatti le banche, feudo UDEUR (Unicredito, Banca Intesa, Capitalia, Banca Popolare Italiana) ad eccezione di Monte dei Paschi di Siena ed Unipolbanca di area DS, finanziano le basi patrimoniali (garanzie reali) e non la redditività del progetto e dell’attività imprenditoriale

    Nessuna ha mai calcolato i danni sociali e finanziari causati, negli anni del centro sinistra e del sottopotere comunista da:
    • il blocco decennale della televisione a colori (governi Fanfani degli anni ’70)
    • la costruzione del Centro siderurgico di Gioia Tauro (5° governo Moro)
    • il Polo informatico di Mantova (governo Goria primi anni ’80)
    • gli incentivi per la costruzioni di stabilimenti al Sud (governi vari da Fanfani ad Amato)
    • i premi per l’abbattimento dei bovini da carne (governi Rumor e Moro)
    • ’ingresso nell’euro in posizione subalterna all’asse franco tedesco (governo Prodi)
    • rinuncia al consorzio Airbus (ultimo Governo Amato)


    Questa è la situazione che si è venuta a creare in oltre trent’anni di politica clientelare. Pensare che in cinque anni si potesse ribaltare la situazione e con molti ex democristiani in posti chiave del Governo Berlusconi sarebbe stato non solo velleitario ma anche stolto.

    Ora la situazione si ripete nel sostegno a Prodi
    • l’economia europea, quella italiana sembra essere in flebile controtendenza, è stagnante
    • regna l’incertezza tra le componenti politiche (gli ex democristiani tornano alla carica nella CDL e l’Unione va alla conta)
    • siamo di fronte ad un’indecorosa crisi fiducia nel Governatore di Banca d’Italia
    • si è ricostituita la lobby del grande "capitale assistito" (Tronchetti Provera, Montezemolo, Colaninno, De Benedetti)
    • la FIAT ritenta un’alleanza "americana" con FORD, dopo il fallimento con General Motors (le cui conseguenze, con la dismissione di capitali e tecnici, sono state pesantemente scontate dalla Ferrari)
    • Luca Cordero di Montezemolo è presidente della FIAT e di Confindustria


    Guarda caso viene sostenuto proprio Prodi: l’uomo che quando era presidente dell’IRI ha:
    • "regalato" Alfa Romeo alla FIAT (l’offerta FORD era superiore di 800 miliardi di lire e solo qualche tranche del debito, che la Casa torinese ha contratto con il cedente, è stata onorata)
    • ceduto CIRIO a Cragnotti, ad un prezzo che definire di favore è eufemistico
    • smantellato la SME che attraverso la controllata GEPI manteneva in vita le aziende decotte
    • demolito la cantieristica navale
    • sovvenzionato aziende decotte quali Buitoni Perugina (cedute alla GEPI da De Benedetti e da questa alla Nestlè) Motta e Alemagna (cedute da GEPI alla Nestlè)


    Al fine di fare un minimo di chiarezza circa la natura della confusione e dei conflitto (più o meno sotterranei) che galvanizzano il dibattito politico ed istituzionale, è necessario penetrare nella ragnatela delle forze economico/finanziarie che i due schieramenti possono gettare in campo

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    Chi ha orecchie per intendere sa come votare.

    Maurizio Turoli