SOMMARIO DELLA SEZIONE:
- RISPARMIATORI E SCANDALI BANCARI
- LA LEZIONE DELLA EX JUGOSLAVIA
RISPARMIATORI E SCANDALI BANCARI
TRAGICOMMEDIA RICORRENTE
Parte prima
La "Bancopoli" che ha travolto il governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio e’ l’ultimo degli scandali finanziari che periodicamente scuotono l’Italia. Non è possibile trattare questo argomento senza una carrellata sugli scandali finanziari che hanno fatto da contrappunto a tutte le principali vicende politiche italiane. Per opportunità cronologica cominciamo dalla vicenda più recente: le dimissioni di Antonio Fazio dall’incarico di Governatore della Banca d’Italia. I primi nemici Fazio cominciò a farseli nel 2001 allo scoppio del caso Bipop Carire. Il dramma di BIPOP CARIRE inizia il 12 ottobre di quell’anno con la comunicazione della sospensione del titolo in Borsa. Il fuoco alle polveri lo diede il giorno prima "Il Sole 24 Ore" con un articolo su circostanziate indiscrezioni in merito a perdite straordinarie. In seguito a quell’articolo, un comunicato ufficiale del vertice Bipop così recitava: "la Banca dovrà riservare accantonamenti aggiuntivi, per un massimo di 125 milioni di Euro a copertura di prestiti a clientela dell’asset management". Lo stesso quotidiano, il giorno 13 ottobre, dava notizia di un inquietante verbale redatto dal consiglio sindacale nel quale si denunciava l’esistenza di contratti di gestione patrimoniale stipulati con garanzia di capitale e di rendimento a vantaggio di alcuni grandi clienti. Proprio quest’ultima notizia, riferita dalla «Gazzetta di Reggio», consigliò alle autorità di Borsa di sospendere il titolo La decisione comportò l’azzeramento dei vertici dell’Istituto. Il siluramento di Sonzogni e di tutto il management avvenne, come recitava un comunicato stampa dell’Istituto di Credito, "al fine di effettuare una pulizia drastica con l’intento di segnare una svolta nella gestione". Le operazioni poco chiare cui faceva riferimento il quotidiano economico milanese (di proprietà di Confindustria e Gruppo Monte dei Paschi di Siena); erano state effettuate da tutte le maggiori banche italiane (a cui nessuno ha mai mosso addebiti). Tutto è iniziato con un’interpellanza parlamentare della deputata DS Antonella Spaggiari che era anche sindaco di Reggio Emilia. A Reggio Emilia vi è la sede della Fondazione Manidori che faceva parte, con un consistente peso in quanto Fondazione della Carire (Cassa di Risparmio di Reggio Emilia); del sindacato di controllo di Bipop. L’iniziativa, lungi dal tutelare i risparmiatori, aveva lo scopo di scalzare l’UDEUR dalla presidenza della Fondazione a vantaggio dei DS (e della stessa Spaggiari al termine del mandato amministrativo). L’entourage di Banca d’Italia ha intravisto un modo brillante di sostenere Capitalia ed il suo presidente Cesare Geronzi (inciampato in Cirio e Parmalat) dopo il bagno di sangue derivante dalla fusione della Cassa di Risparmio di Roma con il Banco di Santo Spirito e l’incorporazione del decotto Banco di Sicilia. Il caso, montato ad arte, ha prodotto gli effetti desiderati. Bipop Carire, banca comunque liquida e solvibile, è stata inglobata in Capitalia. Le vicende di questi giorni sono il frutto di guerre sotterranee che partano da lontano. La Banca Popolare di Lodi (prima banca popolare fondata nel 1870) ha acquisito nel 2003 il Credito Euronord (comunemente conosciuto come Banca della Lega Nord) ed è interessata ad acquisire la Banca Antonveneta (cassaforte delle cooperative bianche venete) Presidente di questa Banca era Gianpiero Fiorani che si è scontrato con il Banco di Bilbao, gigante creditizio spagnolo interessato alla medesima operazione. Giovanni Consorte è presidente ed amministratore delegato di Unipol Banca, cassaforte della cooperative rosse ed azionista di rilievo del gruppo MPS (maggior credito dei DS). Unipol Banca è interessata all’acquisizione di BNL (Banca Nazionale del Lavoro) che si è scontrata con ABN AMBRO, gigante creditizio olandese interessato alla medesima operazione. La Banca d’Italia, in particolare nella persona del suo ex Governatore Antonio Fazio, ha sempre difeso l’italianità del sistema creditizio italiano (per anni tutelato da un regime di semi-monopolio, da sempre garante di delicati equilibri politico-finanziari). Su Fiorani e Consorte gravano sospetti di manovre economico-finanziarie (aggiotaggio ed appropriazione indebita) che potrebbero aver danneggiato considerevolmente piccoli azionisti e depositanti ordinari. Alla Banca d’Italia, e soprattutto a Fazio, viene rimproverata una carenza nel controllo dell’operato di queste due banche. A questo punto è d’obbligo una domanda: "Ma chi è, effettivamente, Antonio Fazio"? Si è laureato in Economia a Roma nel 1960 con una tesi sui rapporti tra evoluzione demografica e sviluppo economico, vince subito una borsa di studio per specializzazione presso il servizio studi di Bankitalia, dove lavora anche come docente. Dal 1962 segue corsi di specializzazione in Macroeconomia e in teoria dello sviluppo economico e monetario presso il Massachusetts Institute of Technology, sotto la guida del futuro premio Nobel Franco Modigliani. Nel 1966 viene assunto definitivamente in Banca d’Italia e comincia un nuovo ciclo di specializzazione presso il MIT, sotto la guida di grandi economisti del calibro di Paul A. Samuelson, Kenneth Arrow, Alban W.H. Phillips. La sua carriera prosegue. Nel 1980 viene nominato direttore centrale, fino al 1982, in cui viene nominato vicedirettore generale. Quando nel 1993, Carlo Azeglio Ciampi presenta le dimissioni per assumere la carica di Presidente del Consiglio, Fazio viene nominato governatore della Banca Centrale Italiana e presidente dell’Ufficio Italiano Cambi, cariche che ha ricoperto fino alle dimissioni, avvenute il 19 dicembre 2005 La tappa più significativa del suo mandato come Governatore è sicuramente quella del passaggio dalla Lira all’Euro, avvenuto tra l’1 gennaio 1999 ed l’1 marzo 2002. Fazio è riconosciuto come uno dei principali fautori in Italia della stabilità economica necessaria per il passaggio alla moneta unica europea. Si fregia del titolo di ultimo Governatore la cui firma è stata posta sulle banconote in lira. Dal 2001, in occasione della consueta lettura delle considerazioni finali del 31 maggio, appoggia le scelte economiche del futuro governo Berlusconi, parlando di un possibile nuovo miracolo economico. Nel 2003 scoppia la polemica tra il Governatore e l’allora (ed anche attuale dopo l’intermezzo Siniscalco) Ministro del Tesoro Giulio Tremonti, che mai ha digerito l’affaire Bipop Carire- Capitalia. La diatriba, ufficialmente, inizia su alcuni punti della manovra finanziaria varata nel 2003 dal Governo che Fazio non condivise e, pubblicamente, contestò. Il culmine si raggiunse con il caso Parmalat a cavallo tra il 2003 ed il 2004, in cui il Governatore accusa il Ministro di non aver fatto nulla per evitare casi analoghi ed in generale di aver portato il paese al declino economico, difendendo l’operato della Banca Centrale nell’emissione dei bond. La vicenda si concluse con le dimissioni di Giulio Tremonti dal governo e la riappacificazione del Governatore con i Parlamento. In buona sostanza Antonio Fazio, ultimo personaggio del panorama economico italiano in possesso di un ottimo bagaglio di cultura umanistica e di impresa (a mio avviso secondo a Raffaele Mattioli, indimenticabile banchiere e poeta artefice dei fasti della Banca Commerciale Italiana); è stato un eccellente capitano ma un pessimo controllore (infatti non ha la mentalità del tecnocrate). Potrebbe anche aver agito in un’ottica nepotistico-paternalista ma ha protetto con le unghie e con i denti un sistema creditizio oligopolistico, molto politicizzato ed abbastanza obsoleto (si finanziano le garanzie reali dei coobbligati non le capacità di rimborso delle imprese) dall’assalto di banche straniere (è un torto? Ai posteri, che saranno colonizzati da altri, l’ardua sentenza). Va anche aggiunto che ha seguito la strada che lo "Stato Imprenditore" ha tracciato dal 1955 quando si delineò il modello di economia mista (Enrico Mattei, grande manager pubblico degli anni ’50-’60, soleva dire "Per me il politico è come il taxi. Pago la corsa e scendo"). Un cartellino giallo va sbandierato a Fazio per aver sottovalutato le esigenze ed i problemi sia dei piccoli imprenditori sia dei piccoli risparmiatori. Ha dimenticando che queste categorie sociali reggono (sovente obtorto collo) il sistema economico italiano (ed in ciò sta lo scontro con Tremonti) . Comunque va riconosciuto ad Antonio Fazio l’onore delle armi, probabilmente chiunque al suo posto avrebbe agito come lui. E’ una considerazione che lascia un profondo rammarico: il protezionismo bancario, il taridivo provvedimento legislativo sul risparmio e le dispute sia sui conti pubblici sia sul successore di Fazio derivano da lotte all’interno dei cosiddetti poteri forti. I poteri sono tanto più forti quanto più debole è la cultura umanistica nella coscienza collettiva. L’inconsistenza di basi filosofiche nonché la scarsa dimestichezza con la dottrina dello Stato minano l’etica imprenditoriale ed il senso di responsabilità della classe politica (ministro deriva dal latino minus che significa essere al servizio di qualcuno). Se l’economia è il motore delle nazioni la cultura nazionale ne è il carburante. La nomina di Mario Draghi (sino ad oggi Vice Presidente di Goldman Sachs, colosso finanziario inglese) quale successore di Fazio conferma la scelta di un Governatore- liquidatore. Poiché ha già liquidato i patrimoni immobiliari dell’IRI cedendoli ad immobiliari straniere, tutto fa supporre che controllerà la colonizzazione dell’unico potere economico ancora, nella maggior parte dei casi, italiano. Purtroppo nell’elettorato italiano, tanto attuale quanto prospettico, impera il teorema di Meo Patacca: "O Franza o Spagna basta che se magna!"
Maurizio Turoli
LA LEZIONE DELLA EX JUGOSLAVIA
Tanto tuonò che piovve: il contenzioso tra Slovenia e Croazia in materia di acque territoriali e di definizione dei confini, a cui si è aggiunto quello relativo alla Ljubljansk a Banka di Zagabria, è arrivato ad un punto tanto avanzato da provocare la minaccia di veto sloveno all’ingresso della Croazia medesima nell’Unione Europea, nonostante la buona volontà dimostrata, non sappiamo con quanta convinzione, dal Presidente Mesic e dal Primo Ministro Sanader nella vicenda di Ante Gotovina, arrestato alle Canarie e tradotto davanti al Tribunale internazionale dell’Aja per rispondere di crimini contro l’umanità. Per dire il vero, le vicende che vedono le due Repubbliche ex jugoslave l’una contro l’altra armate, non sono di tale spessore da rendere impossibile un "gentlemen agreement" od un arbitrato internazionale idoneo a risolvere le controversie in parola, ma Lubiana, forte della sua presenza in Europa, ormai acquisita, non ha disdegnato di fare la voce grossa, confermando l’esistenza di contrasti atavici che vanno ben oltre le dispute fra i pescatori di Pirano e di Capodistria, o quella per il confine della Dragogna, in uno spirito che contrasta in modo clamoroso con quello di Helsinki. Da questo punto di vista, non è azzardato dire che il Governo della Slovenia, un Paese dalle dimensioni appena superiori a quelle del Friuli Venezia Giulia, abbia dato una bella lezione di "realpolitik" a tanti soloni di casa nostra, la cui preoccupazione maggiore è sempre stata quella di blandire dapprima Belgrado, e poi Lubiana e Zagabria, evitando di subordinare il riconoscimento delle nuove Repubbliche a pur doverosi adempimenti in materia di ammissione della verità storica, di tutela delle tombe italiane, di restituzione dei beni nazionalizzati, e via dicendo. A ben vedere, la Croazia non è stata da meno, proprio nella vicenda di Gotovina, acclamato a Spalato quale eroe nazionale da almeno 80 mila sostenitori, durante una manifestazione spontanea iterata in altre città dalmate, e supportata da malcelati risentimenti nei confronti di chi, in Europa, aveva subordinato l’accettazione di Zagabria nella casa comune alla consegna dei criminali di guerra o presunti tali: atteggiamento in cui si erano distinte, com’è noto, l’Austria, e soprattutto l’Inghilterra. Si dirà non senza ragione che Gotovina sarebbe stato più credibile laddove si fosse consegnato spontaneamente per dimostrare la sua estraneità ai fatti che gli sono contestati, ma tant’è: la politica è arte del possibile, e quindi del compromesso, e le dimostrazioni di piazza a favore del comandante croato rendono sostanzialmente vane le proteste sollevate da chi, come Predrag Matvejevic, ha voluto prendere pubblicamente le distanze dalle suggestioni vetero-nazionaliste del suo Paese, tanto più che poco tempo prima era stato condannato dal Tribunale di Zagabria per un reato d’opinione. Tutto questo sta a dimostrare che la realtà ex jugoslava rimane fluida, e che sotto la cenere cova sempre il fuoco di contrasti secolari ben lungi dall’essere stati risolti: più specificamente, quello tra Slovenia e Croazia oppone uno Stato di antiche suggestioni austriacanti, come il primo, ad una realtà caratterizzata da forti venature massimaliste, non avulse da atteggiamenti intransigenti anche in campo religioso. Inoltre, questa particolare congiuntura balcanica dimostra che quando è necessario scaldare i muscoli nessuno si tira indietro, piaccia o meno a qualche intellettuale dissidente, e che le blande proteste di chi governa l’una e l’altra Repubblica hanno soltanto il compito di salvare le apparenze. Non diciamo, sia ben chiaro, che l’Italia debba comportarsi come queste giovani ed imperfette democrazie, ma le pregiudiziali sollevate da Lubiana con un rigore che va ben oltre la materia del contendere pongono in luce che con questi Paesi la politica di buon vicinato non può prescindere da un sano realismo e dalla necessità di confronti anche duri, pur nell’ambito della normale correttezza diplomatica: ciò vale, è utile ripeterlo, per l’annosa questione dei beni, per la tutela dei monumenti e del patrimonio culturale italiano, e per gli aspetti politici di base. Non serve esprimere perplessità o stupore per le forzature slovene e croate, ivi compresa la decisione di festeggiare il 15 settembre come data della liberazione di Istria e Litorale dal "giogo" italiano, e tanto meno, per le prove di contenzioso nella cosiddetta guerra del pesce, o per le adunate di solidarietà ad un Gotovina. Sarebbe il caso, invece, di prendere atto che le relazioni internazionali non sono il regno dei cicisbei, ma impongono, ora più che mai, un senso profondo dello Stato e della sua specifica eticità.
Carlo Montani