Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, tra i primi atti del suo mandato, ha compiuto quello certamente non rituale di convocare a Roma il Governatore della Regione Friuli Venezia Giulia, assieme ai Presidenti delle Amministrazioni provinciali di Trieste e Gorizia ed ai Sindaci delle medesime città, con lo scopo di verificare se fossero maturi nella sensibilità locale i tempi di una pacificazione "definitiva" dell’Italia con la Slovenia e la Croazia, suggellata da un incontro al massimo livello tra Capi di Stato, e probabilmente, da un abbraccio generalizzato ad uso degli operatori televisivi e dei fotografi.
Di questo incontro si era già parlato con insistenza durante la Presidenza Ciampi, salvo rinviarlo a tempi migliori: tra l’altro, a causa delle vicende che avevano portato a non consegnare la Medaglia d’oro al Gonfalone di Zara, stanti le motivazioni quanto meno assurde secondo cui il capoluogo dalmata non avrebbe sofferto le vessazioni degli slavi bensì quelle dei tedeschi, ma ad un tempo, stanti i passi effettuati da parte croata per invitare alla prudenza e quindi all’insabbiamento. Va aggiunto che la questione era tornata d’attualità nel maggio 2004, quando la Slovenia entrò nella Casa comune europea e Romano Prodi si recò proprio a Gorizia per celebrare l’evento nella sua qualità di Presidente della Commissione Europea.
Giova sottolineare che parecchi anni prima un altro Presidente della Repubblica Italiana, Francesco Cossiga, all’atto della secessione slovena e del disastro ex-jugoslavo, non aveva esitato ad accorrere personalmente sul confine di Stato, con un gesto senza precedenti che equivaleva al riconoscimento esplicito di una nuova realtà politica e giuridica, senza alcuna logica e ragionevole contropartita per l’Italia, e di fronte al quale impallidivano persino il bacio alla bandiera di Tito e l’abbraccio al dittatore di Belgrado di cui si era reso protagonista quel Sandro Pertini passato alla storia come il Presidente "più amato dagli italiani".
Con tutto questo, non si vuol dire che l’iniziativa di Napolitano non abbia avuto una sua specificità degna di nota, se non altro per il coinvolgimento delle Istituzioni locali, che persino alla vigilia di Osimo era stato sostanzialmente precluso dalla volontà politica statuale, ma si vuole rammentare che i gesti di pacificazione si sono già ripetuti a getto continuo, anche se da parte jugoslava prima, e slovena e croata poi, il percorso è ben lungi dall’essere completato: non tanto per la questione dei beni degli Esuli, tuttora aperta, quanto per la mancata tutela delle tombe italiane, molte delle quali espunte senza colpo ferire dai cimiteri giuliani e dalmati, e per un riconoscimento della verità storica tuttora imperfetto, parziale e contraddittorio.
Queste considerazioni portano a concludere nel senso che l’incontro del Presidente Napolitano con i suoi omologhi di Lubiana e Zagabria potrebbe essere effettivamente l’occasione per un chiarimento definitivo, diretto ad impostare i rapporti trilaterali futuri in un clima di costruttiva collaborazione, al di là di ogni formalismo, o peggio, di ogni resipiscenza. Purtroppo non sarà così, perché alla luce di quanto è emerso dalle consultazioni con gli Organi locali non sono state formulate le riserve del caso e le considerazioni utili ad orientare la Presidenza della Repubblica sui criteri da assumere nell’ambito della necessaria preparazione diplomatica: ormai, secondo la vulgata, le questioni maggiori con le controparti sono state appianate, e lo stesso problema dei beni riguarda prima di tutto le relazioni tra Governo italiano ed aventi causa.
Leggendo fra le righe, l’importante sembra sia stato avere definito il principio secondo cui i torti storici debbono essere riconosciuti vicendevolmente in un contesto paritetico, sia sul piano etico-politico che su quello più specificamente giuridico, non solo per quanto attiene ai fatti bellici, governati, per dirla con la classica espressione di Giovanni Botero, da un necessario "eccesso del giure comune", ma anche per quanto si riferisce alle vicende dei tempi di pace, o presunta tale. Nella realtà, è peggio ancora: l’Italia finirà per riconoscere anche formalmente che le pene comminate negli anni trenta ai responsabili di "Orjuna" e delle altre Organizzazioni terroristiche slave a fronte di delitti a carico di semplici cittadini (e di regolari processi) furono ingiuste, perché costoro erano "patrioti" al servizio della democrazia; e che persecuzioni, uccisioni ed infoibamenti, continuati a lungo dopo la fine della guerra a danno degli italiani, furono atti di giustizia, proletaria o meno.
A fronte di un approccio del genere, il meno da potersi dire è che si tratterà di una pacificazione surreale, in cui, ancora una volta, l’Italia è destinata a fare la parte del vaso di coccio in mezzo a quelli di ferro, e ad esprimere l’ennesima manifestazione della "cupidigia di servilismo" già sperimentata in tante occasioni, da Versailles ad Osimo, per non dire di tante altre circostanze storiche, come il foraggiamento da record concesso da Giovanni Goria a Branko Mikulic nel 1988 (quando era chiaro che una Jugoslavia alle corde non avrebbe onorato alcun impegno); o come i continui cedimenti nella cosiddetta guerra del pesce, culminati due anni prima nella proditoria uccisione di Bruno Zerbin, un inerme ed ignaro pescatore giuliano.
Il Presidente Napolitano non può certo rispondere di quanto è accaduto nella storia d’Italia ad iniziativa dei suoi predecessori, con particolare riguardo alle questioni riguardanti il confine orientale e le relazioni col mondo balcanico, ma la sensibilità giuridica e politica che lo distingue gli precluderà, quanto meno, comportamenti allucinanti come quello di Giovanni Leone, quando ebbe ad assicurare ai delegati di Trieste che mai avrebbe tradito le motivate attese della città di San Giusto avallando il trattato di Osimo, mentre lo aveva già controfirmato da poche ore.
In effetti, al giorno d’oggi la stagione delle pregiudiziali etiche è andata in archivio, e le questioni economiche hanno preso il sopravvento fino al punto da azzerare ogni altra più nobile valutazione. Nondimeno, proprio alla luce di quella sensibilità giuridica e politica è sperabile che l’auspicato pellegrinaggio dei tre Capi di Stato al Sacrario di Basovizza, alla Risiera di San Sabba ed agli altri luoghi emblematici di tante tragedie (tra cui sarebbe il caso di inserire almeno la foiba di Norma Cossetto, assurta a simbolo del martirologio giuliano-dalmata); avvenga in un clima sobrio, e quel che più conta, senza quarantottate antistoriche, o peggio, colme di offese alla giustizia ed alla verità.
Carlo Montani