AFGHANISTAN: Il realismo contro il pacifismo delle buone intenzioni
C’era da aspettarselo. Appena la prima bomba è caduta sull’Afghanistan, immancabili i pacifisti nostrani sono scesi in piazza. Manifestazioni dei ragazzi nelle scuole, sit-in davanti alle ambasciate americane. Per ultima, la marcia della pace Perugia-Assisi. Ma non solo. Il pacifismo ha trovato ampio spazio anche nelle trasmissioni televisive. E allora in questi giorni dobbiamo subire ancora una volta le "dotte" argomentazioni di Agnoletto e Casarini. E le prediche fuori tema di preti che più che il cattolicesimo hanno a cuore un equivoco quanto pericoloso terzomondismo veteromarxista. Gli aerei killer su New York e il Pentagono? Già dimenticati. Anzi - questo il ragionamento sottinteso e inconfessabile dei manifestanti contro la guerra - gli Stati Uniti se la sono anche un po’ cercata. La reazione degli Usa? Non ci dovrebbe essere nessuna reazione, perché la partita tra Occidente e paesi poveri (e islamici) può considerarsi pari. Ragionamenti aberranti.
Rassegnamoci. Finché la lotta al terrorismo non avrà fine dovremo abituarci - nostro malgrado - alla presenza di questi maestri delle buone intenzioni che, con le loro azioni, non hanno mai risolto alcun problema di politica internazionale. Con questi "cattivi maestri" non pensiamo di avere nulla da spartire. Questo vuole dire che chi non è pacifista è un guerrafondaio? Niente affatto. Vuole dire che è realista e conosce le regole, alle volte ciniche, della politica internazionale, ben descritte da Machiavelli. Vuol dire che ama la pace ma non certo il pacifismo dei Bertinotti e dei Casarini. Un pacifismo sempre unidirezionale. Cioè sempre e solo contro gli Stati Uniti. Quando però l’Afghanistan, nel 1979, era invaso dall’Armata rossa sovietica dov’erano i nostri maestri di pace? Facevano finta di non vedere. E come questo si potrebbero citare altre decine di casi in cui i nostri pacifisti hanno difeso cause indifendibili, dal Vietnam alla Cambogia, per arrivare fino all’"elogio" del dittatore Saddam Hussein. Sempre in nome del pacifismo.
A supportare i teorici del pacifismo sono accorsi anche coloro che dovrebbero essere i maestri della scienza politica italiana e che invece si dimostrano maestri di utopie irrealizzabili. Come interpretare altrimenti le parole di Norberto Bobbio, che scrive sulla Stampa che "il vero salto qualitativo nella storia dell’umanità non sarà il passaggio dal regno della necessità al regno della libertà, come riteneva Marx, ma il passaggio dal regno della violenza al regno della non violenza". Utopie. La storia dell’uomo ha già ampiamento dimostrato che pace e guerra sono due momenti incancellabili nella storia umana. Noi faremmo volentieri a meno di qualsiasi tipo di violenza. Ma bisogna aprire gli occhi e guardare in faccia alla realtà. E la realtà parla spesso di violenze e ingiustizie da combattere non certo con le buone intenzioni ma con le azioni. Anche violente, quando occorre. Non vogliamo scomodare il buon vecchio Hobbes con il suo celebre "homo homini lupus". Basterà riferirsi a quell’etica della responsabilità di weberiana memoria. Insomma, un’etica che si riferisce alle presumibili conseguenze di diversi corsi d’azione e dunque può giustificare che si compia il male se è l’unico modo per evitare un male peggiore.
Noi amiamo la pace. E speriamo che i bombardamenti sull’Afghanistan finiscano presto. Ma vogliamo anche che il terrorismo che ha gettato nell’orrore gli Stati Uniti in quel maledetto 11 settembre venga sconfitto. I nemici del mondo occidentale sono ben chiari, soprattutto dopo le dichiarazioni fatte sul network Al Jazeera da Osama Bin Laden e dai suoi compagni di terrorismo. Vogliamo la pace. Lo ribardiamo. Questo è il momento di difenderla. Ma, come ha scritto Angelo Panebianco sul Corriere della Sera, "la pace deve essere sempre essere resa compatibile con altri valori: per gli uni sarà la libertà, per gli altri la giustizia, per altri ancora l’identità religiosa, per tutti la sicurezza. Valori che hanno la precedenza sulla pace, nel senso che gli uomini, quando li vedono minacciati, diventano, comprensibilmente, disposti a combattere". Parole condivisibili. Improntate ad un realismo che deve caratterizzare la Politica, con la p maiuscola. Contro tutti i sogni e le utopie che invece di risolvere i problemi, li aggravano.
Massimiliano Mingoia