Cooperazione difficile - Numero 46

L’ampliamento della cosiddetta Casa comune europea e l’ingresso della Slovenia nell’Unione Europea, che sta compiendo il quinquennio, non hanno ancora risolto taluni problemi di buon vicinato. Un’ulteriore dimostrazione delle permanenti difficoltà si è avuta lo scorso 28 febbraio, quando un pacifico pellegrinaggio di 63 esuli giuliani e dalmati alla foiba dei colombi, che dista una decina di chilometri dal confine, è stato violentemente impedito da un gruppo di comunisti inneggianti al vecchio regime, che presidiavano la strada di accesso. Bisogna premettere che la manifestazione italiana, organizzata con diligente prudenza dall’Unione degli Istriani, fruiva delle necessarie autorizzazioni di parte slovena, e che i partecipanti non portavano con sé alcuna bandiera, ma soltanto un Crocifisso e qualche fiore da depositare davanti alla foiba, in ricordo delle Vittime. Al contrario, la dimostrazione contraria non era stata autorizzata, anche se, diversamente da quanto è stato pubblicato in Italia dalla stampa d’informazione, non faceva capo ad un semplice gruppo di "esagitati", vista la presenza degli esponenti di talune organizzazioni estremiste, come la signora Bruna Olenik, Vice Presidente della TIGR, che già dagli anni Trenta propugnava la "liberazione" di Trieste, Istria, Gorizia e Fiume. Gli esuli giuliani e dalmati che avevano accolto l’invito della propria Unione erano in larga maggioranza persone di età avanzata, mentre fra i loro oppositori spiccava la presenza di bambini e giovinetti muniti di berretto con tanto di falce e martello, ma anche di bastoni e di bandiere, fra cui un tricolore italiano "lordato", secondo la pertinente espressione del Presidente Massimiliano Lacota, dalla stella rossa in campo bianco. La polizia slovena, che era presente, non è intervenuta per consentire che il pellegrinaggio potesse compiersi, ed agli esuli non è rimasto altro da fare se non depositare i fiori nelle vicinanze e prendere la via del ritorno, affidando all’Unione degli Istriani il compito di esprimere una dura e giustificata protesta, anche ai massimi livelli. Non è fuori luogo dire che fra i contro manifestanti si è notata la presenza di qualche significativo personaggio del mondo sloveno di Trieste, o meglio, di cittadini italiani appartenenti all’omonima minoranza. Del resto, quando il Consiglio comunale della città di San Giusto ha espresso, all’indomani, un voto unanime di solidarietà agli esuli, la sola eccezione è stata quella dell’Unione Slovena, il cui segretario Mocnik ha affermato, in dichiarazioni riportate dalla stampa, il carattere "antifascista" della manifestazione, contestando persino il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che a suo dire conferirebbe, in occasione del 10 febbraio (Giorno del Ricordo); onorificenze e premi a figli e congiunti dei "criminali di guerra". Sembra di essere tornati ai giorni plumbei del 1948, quando i candidati comunisti alle elezioni del 18 aprile non esitavano ad accomunare il famoso bandito Salvatore Giuliano ai "banditi" giuliani e dalmati, rei di avere abbandonato il paradiso di Tito. Per completamento della cronaca si può aggiungere che i dimostranti sloveni inalberavano, oltre alle bandiere ed ai bastoni, alcune gigantografie d’epoca con foto di non meglio specificati campi di sterminio e di altrettanto generiche fucilazioni, come se gli esuli fossero responsabili di tali efferatezze. Non c’è che dire: se quello della cooperazione è un concetto che appartiene, prima di tutto, alla sfera etico - politica, non c’è dubbio che alla foiba dei colombi si sia perduta un’ulteriore buona occasione per affermarne la necessità e l’urgenza, anzi tutto sul piano morale, ma anche su quello giuridico. Diversamente, è ancora più difficile parlare di conciliazione, che presume, oltre al riconoscimento dei torti, l’esistenza di un reale spirito cooperativo. Viene spontaneo soggiungere che, a prescindere dai pur evidenti diritti degli esuli giuliani e dalmati, e dalle proteste formali in sede europea, è proprio in queste occasioni che l’Italia dovrebbe dimostrare di avere un adeguato senso dello Stato e della dignità nazionale. In effetti, come ha detto Lacota, se gli sloveni hanno piena opportunità di celebrare anche in territorio italiano i propri Caduti, come accade annualmente durante le commemorazioni presso il cippo che ricorda i quattro fucilati di Basovizza, altrettanto dovrebbe essere garantito, in un’ottica di pari dignità, a chi chiede di deporre un fiore per onorare la memoria di qualche decina di migliaia di infoibati.


Affermare che cooperazione significa anche organizzazione è un semplice corollario. Tutti, compresi i vecchi e giovani comunisti sloveni, hanno il diritto di esprimere le proprie idee, anche quando siano ritenute aberranti dalla stragrande maggioranza dei loro concittadini europei, a patto che lo facciano senza negare le libertà altrui. In questo senso, è fondamentale l’opera di prevenzione, ed appunto, di organizzazione e cooperazione, che compete alle forze dell’ordine, e che guarda caso è mancata totalmente nell’episodio della foiba dei colombi, inducendo la presunzione di possibili connivenze. Non è fuori luogo concludere ricordando che una vecchia signora abitante nelle vicinanze di quella foiba ha voluto dare prova spontanea di esemplare coraggio, quando ha avvicinato il Presidente dell’Unione per ringraziare dell’iniziativa assunta dagli esuli e per testimoniare che nell’immediato dopoguerra accaddero "cose terribili", anche in quella zona. Ecco un esempio di autentica cooperazione, da additare ad esempio, e da affidare ad una memoria realmente consapevole.

Carlo Montani