Il cuore oltre l'ostacolo - Numero 47

Le previsioni del Fondo Monetario Internazionale sull’evoluzione della congiuntura durante l’anno in corso non sono tali da sollevare facili entusiasmi, del resto fuori luogo, anche se non è mancata qualche timida schiarita. Alla fine del 2009, il prodotto lordo mondiale dovrebbe regredire di circa due punti, con decrementi massimi in Giappone, dove si attende un calo del 6,2 per cento; in Europa, dove si mette in conto una flessione del 4,2 per cento; e negli Stati Uniti, che dovrebbero contenere la contrazione nel 2,8 per cento. Non serve aggiungere che l’economia mondiale è in grado di ridurre la perdita grazie all’apporto decisivo della Cina e dell’India, per cui sono stati calcolati incrementi rispettivi del 6,5 e del 4,1 per cento, inferiori a quelli pregressi, ma largamente superiori a quelli che l’Occidente era riuscito ad ascrivere negli anni migliori. L’Italia, che aveva già chiuso il 2008 a crescita zero, e che proviene da una lunga fase di precarietà, tanto da farne l’anello debole della catena europea, non è destinata a consuntivi migliori, se è vero che il Fondo ha previsto, nel suo caso, una riduzione del PIL pari al 4,4 per cento, superiore a quella degli altri maggiori Paesi comunitari, fatta eccezione per la Germania, che dovrebbe indietreggiare del 5,6 per cento. Non basta: nel 2010, sempre secondo le valutazioni di fonte FMI, vi sarà un’inversione di tendenza, ed il prodotto lordo mondiale riprenderà ad aumentare, con una crescita di quasi due punti, dovuta al contributo prioritario, ancora una volta, della Cina e dell’India; al pareggio statunitense; e ad un’Europa convalescente, ma non senza perduranti sofferenze, soprattutto in Italia ed in Germania, dove si registreranno ulteriori regressi, nelle misure rispettive dello 0,4 e dell’uno per cento. Se queste previsioni verranno confermate, non c’è da stare molto allegri, perché si tratta di flessioni che vanno ad aggiungersi alle precedenti, con effetti a cascata nell’ambito dell’occupazione e dei consumi. A questo punto, nessuno sa bene quali possano essere i rimedi, se non quello, ormai tradizionale, di gettare il cuore oltre l’ostacolo, rimboccandosi le maniche e cercando di cogliere nelle difficoltà della congiuntura le occasioni per investire a condizioni competitive, secondo una ricetta molto gettonata, che sarebbe quasi ovvia se non dovesse fare i conti con la permanente difficoltà creditizia e con la sostanziale impossibilità di finanziarsi in proprio, dovuta al calo del giro d’affari ed a quello degli utili, spesso proporzionalmente maggiore. E’ una buona ragione che suffraga le misure a favore del mondo finanziario, ma che non trova riscontro nella reale disponibilità delle banche a venire incontro alle esigenze di produzione e distribuzione. In siffatte condizioni, non è fuori luogo presumere che, dopo avere gettato il cuore oltre l’ostacolo, non si riesca a superare lo steccato, con grande gaudio dei numerosi avvoltoi pronti a gettarsi sulla preda. Fuor di metafora, non si scopre nulla dicendo che il ristagno ha già seminato lungo strada diversi cadaveri, specialmente nell’ambito delle piccole e medie aziende: è una selezione naturale che a lungo termine potrebbe essere salutare per i superstiti, ma che nel frattempo aggrava le conseguenze della crisi. Ed allora, non è possibile dare tutti i torti a chi pensa ad ipotesi di trasferimento nei Paesi in via di sviluppo e di rinvio degli investimenti, se non anche a quella di ridurre il personale e di navigare a vista, specialmente quando si debba constatare che a fruire delle provvidenze anticicliche sono, ancora e sempre, i soliti noti.


c.m.