E’ questa la domanda che dobbiamo rivolgerci ora, dopo le ultime elezioni. A fronte della disfatta di tutte le destre, e intendo le destre non il centrodestra, l’interrogativo è prioritario. Inutile pensare di sommare i vari spezzoni delle destre prima di chiederci se in Italia c’è ancora bisogno di destra. La richiesta di dar vita ad una "Costituente della destra", idea che per altro condivido, deve essere preceduta da questo drammatico interrogativo. E ad esso si deve dare una risposta, anche se dovesse essere il requiem della destra italiana. Non si tratta quindi di fare un esercizio matematico, di pensare di fare la somma dei vari partitini, la somma di più disfatte, per pensare di avere una mezza vittoria in futuro
Gli italiani hanno bocciato le formazioni di destra e ci sarà un perché. Non basta dire che il Movimento 5 Stelle ha attirato molti voti della destra: chiediamoci il perché. La verità è che la destra non ha saputo parlare alla gente.
Non si è saputo parlare perché la destra in Italia, oltre tutto sempre minoritaria, si è omologata al PdL per troppo tempo, perdendo le sue caratteristiche, il suo carisma. La destra ben difficilmente - se non sarà capace di un grande e radicale cambiamento - potrà essere un giorno maggioranza nel Paese; la destra ha sempre avuto la funzione d’essere punto di riferimento, di elaborare soluzioni e alternative sociali, di difendere la tradizione; insomma di incarnare i soliti, benedetti, Valori. E i valori della destra sono noti a tutti; elencarli diventa inutile e stucchevole. Si tratta, invece, di declinarli nel quotidiano, di farli diventare carne e sangue. Ed anche questo lo sappiamo. Perché ciò non è avvenuto? Perché, probabilmente, ci si è limitati a recitare la solita litania dei valori, non a realizzarli per davvero. E’ stato preferibile ricordare ad ogni piè sospinto la famiglia, la scuola, il lavoro, l’ambiente, ecc. ecc., per poi perdersi nel compromesso (che, comunque, esercitato razionalmente è l’anima della politica) che rende tutto omogeneo.
La stessa scelta economica della destra non è mai stata decisamente liberale ma tradizionalmente statalista; eppure la destra italiana si è fusa con la scelta liberista berlusconiana. Non dico che ciò sia sbagliato, dico che è stato un cambiamento che ha fatto perdere la caratteristica precedente senza riuscire a guadagnare la nuova sponda. E questo ha creato smarrimento.
Le grandi scelte, i grandi cambiamenti hanno bisogno di uomini forti, carismatici, capaci di incarnare il cambiamento (che è sempre doloroso) e farlo accettare ai propri seguaci e conseguentemente allargare il consenso guadagnando l’adesione di coloro che prima erano distanti. Uomini forti non certo in senso antidemocratico, ma forti come dichiarato nell’Appello del PPI del 1919: "A tutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini superiori della Patria, senza pregiudizi né preconcetti, facciamo appello perché uniti insieme propugnano nella loro interezza gli ideali di giustizia e libertà". Un cambiamento che viene "dal basso", condiviso e non imposto. Un cambiamento che è quindi, prima di tutto, culturale. Culturale nel senso che deve essere fatta una revisione dei valori fondanti; capire che il mondo cambia anche se non vuoi e che certe questioni vanno affrontate, certe scelte dolorose vanno fatte. Ma capire contemporaneamente che non si può navigare a vista, perché è indispensabile avere punti di riferimento, una stella polare, i valori appunto.
Ed ecco che la Destra (questa volta scritta con la lettera maiuscola
) ha la sua funzione: quella di realizzare il cambiamento, quella di far rivivere nel quotidiano i valori della nostra tradizione, della nostra cultura, del nostro essere italiani. Perché della tradizione essa è sempre stata, nel bene e nel male, l’unica e autentica testimone ed interprete. Significa, ad esempio, comprendere che non si può vivere solo pensando economicamente, che l’unico valore sia il denaro, che non solo c’è il "negotium" ma anche, ad equilibrarlo, l’"otium". Significa che il rispetto delle diversità, alle quali è naturale e razionale aprirsi, non deve essere la dimenticanza della "dignitas" della persona, ma che anzi - proprio la consapevolezza di quella "dignitas" - porta al riconoscimento dell’altro, ma nel rispetto delle differenze. Significa aprirsi ad una vera tolleranza, che non vuol dire sottomissione. Significa vivere diversamente, creandosi nella propria vita quegli spazi di caratteri sociale, culturale, affettivo che abbiamo sacrificato al dio denaro. Significa apportare una vera rivoluzione culturale nella propria vita, individuale, con cambiamenti che ridiano il vero valore alle cose, al tempo, alla vita, alle persone.
Questa è la funzione della Destra, una funzione che ha sempre avuto ma che ora è stata dimenticata per dare spazio a più facili, nuovi, "valori".
Antonio F. Vinci