SCUSATE MA DICO "NO", LO ZIO SAM ESAGERA - Numero 16

 

Considero il pacifismo, specie quello nostrano, un prodotto della subcultura di una sinistra allo sbando ideologico. Il proliferare di drappi multicolore - pressoché identici a quelli dell’orgoglio gay peraltro - sui balconi delle nostre città mi pare uno straordinario saggio di conformismo e di ipocrisia collettiva. Una bandiera che serve e che non va servita: molto italiano. Tuttavia non riesco davvero a farmi piacere una guerra che, non sento, non capisco, non condivido, non accetto. L’Iraq e Saddam Hussein rappresentano un conto aperto per gli americani. Bush senior dodici anni fa chiamò il mondo a raccolta contro uno Stato (ex alleato di ferro degli Usa allorché il nemico si chiamava Khomeini ed era lecito gasare come zanzare migliaia e migliaia di iraniani) che aveva avuto l’idea, certo sciagurata, di invadere un ricchissimo Paese vicino. Anche allora (ero al liceo) trovavo bizzarro che l’Italia e l’Europa si stracciassero le vesti per il Kuwait, ma comunque si trattava di una questione di legalità internazionale. Quindi alla fine mi feci una ragione anche della decisione del Msi, allora guidato da Pino Rauti, favorevole all’intervento (mentre Fini qualche tempo prima era volato a Baghdad, si può dire vero?). Vissi con grande apprensione la vicenda dei nostri piloti caduti prigionieri degli iracheni, mentre molti compagni di scuola festeggiavano: "Cocciolone non vola più", ragliavano nei cortei. Insomma quella era una guerra accettabile. Gli interessi in ballo distavano parecchio dalla mia sensibilità, le forze in campo erano squilibrate, ma tutto sommato - pensavo - Saddam se l’è cercata. Oggi però, accidenti, è tutto diverso. L’Iraq è un Paese in ginocchio: con un esercito sbandato che ha nella sola Guardia repubblicana una formazione presentabile, ma non certo temibile (i satelliti spia israeliani hanno provato che non testano un missile dal ’91 e mi si insegna che per usarli i missili bisogna provarli); una popolazione che è stremata da un decennio di embargo e non ha la minima intenzione di battersi ancora. E le tanto cantate armi di distruzione di massa, ma chi le ha mai viste? C’è un lista non certo misera di Paesi e regimi che quelle armi le possiedono e lo si sa per certo. Ma a Saddam si chiede di provare lui il possesso di arsenali proibiti. Già, perché gli ispettori dell’Onu, che a sentire Washington stanno facendo la figura degli allocchi, non hanno trovato niente che possa giustificare l’uso della forza, ma solo un certo atteggiamento recalcitrante che da un regime di furfanti si può anche aspettare. Allora ci hanno provato i grandi accusatori di Baghdad a produrre le prove dei misfatti e della pericolosità dell’Iraq. Londra ha fornito un dossier che si è rivelato poi la scopiazzatura di una tesi di laurea (!); mentre il segretario di Stato americano, Colin Powell, si è presentato al Palazzo di Vetro con il presunto referto di una presunta telefonata tra due presunti ufficiali iracheni che, si presume, dicevano di spostare qualche cosa da una parte ad un’altra. Più alcune fotografie satellitari e disegni di camion che si pretendevano adibiti al trasporto di materiale incriminato. Mr. Powell inoltre ha deliziato la platea agitando un tubetto, che se avesse contenuto antrace, avrebbe potuto sterminare non si sa quante persone. Un’americanata, insomma, con patacca annessa. E un’autentica patacca mi sembra questo conflitto, a cui non partecipiamo direttamente, ma che in modo imbarazzato e imbarazzante, sosteniamo. Già, perché comprendo gli interessi, i disegni d’Oltreoceano e non me ne scandalizzo. Gli americani vogliono chiudere un conto rimasto aperto, vogliono un riscatto dell’11 settembre, vogliono ridisegnare il Medio Oriente partendo da Baghdad, vogliono mettere con le spalle al muro altri "Stati canaglia", vogliono porre le mani sui pozzi petroliferi dell’Iraq settentrionale. Facciano tutto questo, il giudizio nei loro confronti non cambierà: restano una forza imperiale e imperialista, oltretutto l’unica. Ma per favore, non si dica che l’Italia e l’Europa debbano farsi carico di tutto questo. Un nemico, aggressore o aggredito che sia, deve avere delle caratteristiche di pericolosità relative ben riconoscibili. Sono convinto che anche nella guerra ci debba essere morale. E in questo momento un attacco all’Iraq con la nostra collaborazione non è moralmente concepibile. E’ un affare loro nella forma e nel merito e siccome non è vero, come qualcuno aveva detto evidentemente scosso dai fatti dell’11 settembre, che "siamo tutti americani", avrei sfruttato l’occasione per il recupero di una sovranità nazionale almeno dal punto di vista simbolico. Questa forma bellica, la cosiddetta "guerra preventiva", poi non mi convince per niente. L’assunzione da parte statunitense del ruolo di sbirro planetario è inaccettabile. Con questo criterio ogni birbaccione che in giro per il globo compia sul suo territorio certe nefandezze andrebbe colpito insieme al popolo che più o meno rappresenta finché non lo si elimina e lo si sostituisce con un altro. E qui tocchiamo un altro punto nevralgico: è accettabile che Washington scelga per noi di volta in volta chi è il buono e chi il cattivo, chi è l’amico e chi il nemico? Visti i precedenti, avrei delle perplessità. Si è finanziato Bin Laden in funzione antisovietica e lo si è fatto entrare nel salotto dell’alta finanza americana; si è armato (come detto) Saddam Hussein, anche di armi chimiche tra cui l’antrace, per combattere il pericoloso regime di Teheran; si è alimentata l’islamizzazione del Caucaso per ragioni geopolitiche antirusse, così come per motivi analoghi si è agito nei Balcani. E ora il nuovo socio si chiama Turchia, la Turchia islamica di Recep Tayyip Erdogan che gli Stati Uniti vogliono far entrare quanto prima nell’Unione Europea. E’ questa una storia che si ripete senza insegnare nulla. Ingeriscono in affari che apparentemente non competono loro per ragioni di una strategia miope, visto che puntualmente l’alleato di turno li pugnala alle spalle e fa danni peggiori del nemico che si era combattuto. Ora, ci dobbiamo fidare sempre e comunque delle scelte di questi signori, o è lecito far valere le ragioni che ci sono proprie? Quali sono i vantaggi e gli svantaggi derivanti da un conflitto per noi italiani ed europei? Al di là dei costi, gravi per una economia già in affanno, c’è il fondato timore per una recrudescenza del terrorismo. Noi siamo vicini e qualcuno nel mondo arabo e musulmano non aspetta altro che dover vendicare un nuovo martire, anche se ne nel caso di Saddam si tratterebbe di una vera schifezza di martire, visto che Bin Laden lo ha definito "corrotto e socialista infedele". Ci sarà un’ondata di profughi e indoviniamo un po’ dove finiranno i disperati… Fatico davvero a trovare punti in favore di questa nuova guerra del Golfo. Certamente si libererà il popolo iracheno da un dittatore folle e sanguinario, ma la pioggia di missili e bombe che è caduta e cadrà di nuovo sui civili iracheni non è propriamente una dichiarazione d’amore per quella gente. Insomma la questione irachena rappresenta l’ennesimo motivo di turbamento nella mia coscienza politica. Il mondo che sognavo all’origine dei miei sentimenti era quello incarnato oggi imperatore George W. Bush? Non mi curo se le mie opinioni si intrecciano con quelle degli strabici pacifisti che non esposero nessun vessillo per Praga, per il Tibet, per gli studenti di piazza Tienanmen. Loro erano e sono in malafede perché portano in sé un ben noto germe ideologico. La mia risposta è comunque "no".

Fabio Pasini