FISICHELLA, IL PROF DI DESTRA CHE BACCHETTA AN - Numero 18

 

 

A vederlo, con i suoi completi grigio classico con tanto di panciotto, dà l’impressione di un uomo di altri tempi. A parlarci, l’unica volta che ci è capitato, dà l’idea di un notabile siciliano attentissimo alle forme. In Inghilterra sarebbe un conservatore. In Italia, dove una destra di quel tipo, a parte quella "storica", non c’è mai stata, è un battitore libero. Ma di una coerenza a prova di smentita. Domenico Fisichella, vicepresidente del Senato della Repubblica e membro autorevole (seppur isolato) di Alleanza nazionale, si è lanciato nell’agone politico da più di dieci anni ormai, da quando propose l’idea di "lavorare per una Alleanza nazionale" in un articolo sul Tempo del 19 settembre 1992. Lui, Mimmo, come lo chiamano gli amici, con quel tanto di superbia professorale che lo contraddistingue (fa lo scienziato della politica dalla metà degli anni Sessanta) non perde occasione per rivendicare il titolo di "fondatore di Alleanza nazionale". È fatto così. In un mondo dominato dalle masse, Fisichella si ostina ad appartenere ad una destra "aristocratica", fondata sui meriti, sugli studi, sull’esperienza della storia e in lotta costante contro le derive oligarchiche e populiste, due facce - a suo parere - della stessa medaglia. Tutte idee sintetizzate nel suo ultimo libro "La destra e l’Italia", che in realtà è un’intervista assai leggibile fatta da Massimo Crosti al vicepresidente del Senato. Tre capitoli in cui si parla della "politica e della democrazia nel mondo contemporaneo", del "caso italiano" e del "partito della nazione". Partiremo dalla fine, dal partito della nazione, quello che nelle intenzione di Fisichella doveva essere Alleanza nazionale. Diciamo "doveva" perché nel libro i giudizi sul partito di Gianfranco Fini (e suo) sono molto severi. Quasi drastici. Un esempio? Eccolo: "Oggi Alleanza nazionale ha superato sì certe ristrettezze culturali del Movimento sociale, però, nello stesso tempo si ha la sensazione che questa opera di revisione ‘culturale’ si sia spinta così avanti e si sia svolta in maniera così indiscriminata da cancellare tutto il passato e da coinvolgere in questa cancellazione larga parte della storia nazionale. Questo non accade sempre nella vita del partito, soprattutto ai livelli intermedi, ma ai vertici del partito l’indifferenza verso la storia è un atteggiamento diffuso e non reversibile, salvo che insuccessi elettorali non inducano a riflessioni e ripensamenti". Quelle sconfitte elettorali (vedi le ultime amministrative, soprattutto in quel di Roma) sono arrivate. Quanto ai ripensamenti, vedremo. Per ora si parla di verifiche di governo, possibili rimpasti e di un ritorno di Fini alla vita del partito, con eventuali dimissioni dalla carica di vicepremier. Opzioni da verificare. Una cosa è certa, almeno per Fisichella: la presenza di An all’interno del governo Berlusconi non è significativa. Ancora un brano del libro-intervista: "Con la formazione del secondo governo Berlusconi, all’interno del quale la posizione di Alleanza nazionale non è particolarmente rilevante (non parlo di uomini ma di posizioni istituzionali e di presenza non proporzionale alla sua forza elettorale); è iniziata una fase di grigia, ordinaria amministrazione nella quale si manifestano due atteggiamenti psicologici di fondo: il primo è resistere a ogni costo sulle posizioni di potere acquisite, anche se non si tratta di posizioni di potere straordinariamente significative; il secondo, al contempo, è costituito da una progressiva sensazione di logoramento, dove Alleanza nazionale si ritaglia una funzione di estenuante mediazione con modesti elementi di iniziativa politica". Può bastare? Che l’azione di governo di An, peraltro, sia inferiore alle aspettative del 2001, è riconosciuto ormai da molti membri del partito. E che questa azione poco rilevante abbia poi serie conseguenze sul consenso che gli italiani riservano ad An, è un’altra osservazione che ricorre spesso sulla bocca degli intellettuali di destra, Veneziani e Accame in testa. Ci rimane il dubbio che Fisichella accentui il suo tono critico (che, bisogna dargli atto, ha avuto anche in passato nei confronti del suo partito) ancora "scottato" dalla mancata nomina alla presidenza del Senato a vantaggio del forzista Marcello Pera. Fisichella, all’epoca (era il 2001) prese la decisione come un affronto personale. Ma anche come una carenza di autorevolezza politica di Fini e di An. Il dubbio ci rimane. Essere scienziati della politica, e per giunta di spicco internazionale come Fisichella, non esenta dalle debolezze e dalle ambizioni umane. Le critiche del professore ad An, ad ogni modo, le riteniamo assolutamente centrate e condivisibili. E, alla fine, è questo che conta, al di là delle intenzioni di fondo. Oltre agli aspetti più interni alla politica politicante, però, nel libro di Fisichella si possono trovare spunti assai interessanti su molti altri argomenti concernenti le idee della politica e quelle della destra in particolare. Idee sviluppate in un’attività di studio ultratrentennale. Tra queste, la critica alla tecnocrazia, la difesa della tradizione liberale classica in opposizione ai libertarismi anarcoidi, l’individuazione precisa dei tre filoni culturali sui quali la destra italiana dovrebbe sintetizzare la sua identità: il filone cristiano, quello liberale e quello nazionale. Chiudiamo con uno degli ultimi brani del libro, molto significativo a nostro parere, perché riassume il Fisichella-pensiero. Un pensiero profondamente legato alla cultura politica conservatrice europea e ispirato da quel realismo che in un tempo di utopie dilaganti rimane una roccia sulla quale aggrapparsi nel mezzo dei marosi ideologici dei giorni nostri. "I conservatori sono uomini della coesione sociale, sono uomini di pace - scrive Fisichella - Il senso del conservatorismo, quindi, sta in un consapevole realismo che sa di quante finzioni e illusioni è nutrita la natura umana. Nello stesso tempo, tuttavia, è presente una sorta di pietà che fa cogliere bene al conservatore che gli uomini hanno bisogno di illusioni. Perché la stragrande maggioranza degli uomini non potrebbe vivere senza le illusioni. In questo, vi è anche la consapevolezza orgogliosa e forse un po’ superba che alcuni uomini, pochi, riescono a vivere senza illusioni".

Massimiliano Mingoia