La fine del contenzioso italo-libico non chiude le vecchie ferite
La ratifica del trattato concluso nella scorsa estate dal Presidente Berlusconi e dal Colonnello Gheddafi è puntualmente arrivata col voto di fine gennaio alla Camera, in cui il Governo, come ai tempi di Osimo od in quelli più lontani del "diktat", ha potuto contare su un’ampia maggioranza trasversale, sebbene non sia mancato il voto contrario dell’Unione di Centro e dell’Italia dei Valori, e si siano udite voci negative nelle stesse forze governative: memorabili, fra gli altri, l’intervento dell’On. Gianfranco Paglia, Medaglia d’Oro al Valor Militare, e quello dell’ex Ministro degli Esteri Antonio Martino, che non hanno lesinato critiche tanto più motivate, in quanto gli esuli dalla Libia, dopo circa 40 anni di attesa, si sono visti riconoscere un risarcimento di 150 milioni, oltre tutto spalmato in tre anni, a fronte di danni effettivi calcolati in una cifra superiore di venti volte. Le motivazioni di chi non ha votato per il Governo od ha scelto la strada dell’astensione sono diverse, e si possono riassumere nella sperequazione di fondo fra dare ed avere, a tutto vantaggio della Libia e di qualche potentato economico con interessi specifici per la chiusura del contenzioso a qualsiasi condizione, sia pure molto onerosa: è appena il caso di ricordare che il suo costo assomma a non meno di cinque miliardi. Fra le tante considerazioni negative a posteriori, vale la pena di ricordare che l’Italia aveva già saldato vecchi debiti prima dell’avvento di Gheddafi, mentre questi, come è stato ricordato, ha fatto piazza pulita di tutti i precedenti ed ha imposto nuove condizioni jugulatorie, non solo di tipo economico. Va aggiunto che, fra gli scopi dell’accordo, il Governo italiano aveva esaltato le intese per la prevenzione degli sbarchi clandestini, rimaste senza esito per tutto il 2008, tanto che il Ministro dell’Interno Maroni, dopo averne denunciato l’incremento nella misura del 130 per cento, aveva minacciato più volte di opporsi alla ratifica, visto che tale obiettivo prioritario rimaneva puntualmente sulla carta. Comunque, la ratifica stessa non costituisce una sorpresa: la ragione di Stato non poteva prevedere soluzioni diverse, anche se le dissociazioni nell’ambito della coalizione di Governo, e l’avallo contestuale del più forte partito di opposizione, fanno pensare. Detto questo, è il caso di sottolineare come, ancora una volta, si sia perduta una buona occasione per venire incontro alle attese degli esuli, invece di tacitarli con la consueta elemosina, e soprattutto, con l’avallo di una legge inesorabile come quella del tempo. Spiace dover aggiungere che nel mondo giuliano e dalmata sia emersa qualche protesta per l’erogazione dei 150 milioni ai profughi dalla Libia, definiti per l’occasione di "serie" superiore: a parte il fatto che l’elemosina è stata offerta a suo tempo anche ad istriani, fiumani e dalmati, e che talune loro Associazioni si limitarono a ringraziare, non sarebbe stato il caso di "fare sistema", come si usa dire al giorno d’oggi, e di unificare proteste che nell’uno e nell’altro caso sono oggettivamente sacrosante? Del resto, non va dimenticato che gli esuli dalle altre ex colonie sono stati trattati anche peggio, forse perché in numero quantitativamente trascurabile, e travolti, più degli altri, dalla citata legge del tempo. La protesta giuliana e dalmata è stata supportata, fra l’altro, dal rilievo secondo cui i profughi d’Africa avrebbero avuto meno diritti in quanto "colonizzatori", e non autoctoni costretti a lasciare la propria terra da un trattato di pace decisamente iniquo. L’osservazione, a prima vista, ha un fondamento ovvio, ma trascura il fatto fondamentale che tutti gli esuli, senza distinzioni, sono figli della stessa Patria, e nella stragrande maggioranza dei casi, immuni da qualsiasi colpa.
2. In questo senso, sarebbe il caso che la polemica si stemperi in un grande abbraccio e che le Organizzazioni da cui è giunta la protesta si rendano conto di quanto sia preferibile un comportamento meno rigido. Del resto, è sembrato di capire che, vista la sostanziale pochezza del risarcimento statuito a favore degli italo-libici, quelle medesime Organizzazioni non abbiano escluso di potersi accontentare di ulteriori elemosine, invece di battersi fino in fondo per il famoso indennizzo "equo e definitivo" su cui si è insistito più volte nel confronto coi Governi dell’una e dell’altra estrazione politica. Non c’è dubbio che l’esodo giuliano e dalmata sia stato di gran lunga più consistente, e che sia stato suffragato dal sacrificio di troppe Vittime innocenti, ma questa non è una buona ragione per insorgere contro chi, a sua volta, è stato oggetto di un altro "diktat" in termini immediatamente cogenti come quello del settembre 1970: al contrario, avrebbe dovuto costituire motivo di comprensione e di ricerca dell’unità, che nella dialettica politica ed economica è sempre arra di forza. Nel nuovo millennio, ciò di cui non si avverte affatto il bisogno è un comportamento simile a quello dei capponi di Renzo. Se le forze residue consentono tuttora di esprimere proteste e proposte, si cerchi di evitare le tradizionali baruffe chiozzotte, e si metta in mora chi è responsabile, nei confronti di tutti gli esuli, di attendismo, incomprensioni e beffe.
Carlo Montani