Il nuovo Palio del nuovo Millennio
La storia del Palio di Legnano è una storia di alti e bassi: l’attenzione è alta quando alta è la tensione, l’interesse per la vittoria in prossimità dell’ultima domenica di maggio. Allora Legnano si trasforma in una città in attesa del derby cittadino, un derby ad otto. I manieri sono quasi sempre affollati in quel mese di maggio; si terminano gli ultimi ritocchi agli abiti, si portano avanti le ultime contrattazioni per acquisti, noleggi, addobbi floreali; soprattutto gli ultimi, faticosi, accordi per la gara, per aggiudicarsi il "Crocione". E questa tensione dura ancora per alcuni giorni dopo la corsa, con i suoi inevitabili strascichi di polemiche, recriminazioni, confronti, accuse, veri o presunti tradimenti rinfacciati, vere o presunte incompetenze segnalate. Durante il resto dell’anno è normale amministrazione: spesso uno stanco incontrarsi in maniero, un torneo di scala quaranta, una cena medievale, per poi il rialzarsi della tensione in occasione della festa di contrada e, soprattutto, dell’investitura, che capita solitamente ogni due anni. Quante volte è stato ripetuto questo? Un’infinità. Per chi non è legnanese, o per lo meno per chi non vive questa esperienza, sembra l’inutile rituale di un aggregato di persone che giocano a proiettarsi nel passato. Eppure questa è la vita sociale per un migliaio di cittadini; questa è la vita silenziosa, di volontariato, di alcune centinaia di contradaioli che confezionano abiti, riparano armature, si riuniscono per decidere la vita comune del maniero, della loro associazione. A volte è un po’ kitsch, con quel premiarsi tra di loro, quel nominarsi a cariche altisonanti: priore, gran priore, capitano, castellana, scudiero
Eppure dietro si nascondono spesso piccole faide, accordi, camarille, tresche di fazioni, di famiglie le une contro le altre armate
Ora siamo nel nuovo millennio
e il Palio è ancora lì, con il corredo delle sue tradizioni, delle sue investiture, del rituale delle elezioni. Alcuni lo vedono superato, altri come il palco su cui pavoneggiarsi, altri come il cuore della storia cittadina, altri
Legnano è Legnano anche grazie al Palio. Ma forse è ora di cambiare. Forse è giunto il momento di trovare il vero significato di questa Sagra, di queste manifestazioni, di questa vita associativa. E’ inutile arroccarsi nella stantia ripetizione di un cerimoniale fine a se stesso, se questo cerimoniale non viene vissuto dall’interno. Molte volte tutto questo darsi da fare, lavorare come volontari per le mille piccole cose della vita di contrada, organizzare feste e cene e lotterie e bancarelle per racimolare un po’ di denaro per essere più forti, per prendere il fantino più bravo, per acquistare gli abiti più belli, tutto questo sembra un po’ come una vuota armatura, senz’anima. E’ forse il momento, questo tragico momento, di riscoprire la vera anima del Palio. Che è sì ricordo, tradizione, ma soprattutto solidarietà.
Abbiamo un sogno: che la vita di contrada, che lo spirito del Palio, non si riduca ad inutile, esteriore cerimonia, ma che sappia aprirsi alla realtà circostante, intervenendo nella città. Non si tratta di copiare gli interventi sociali, assistenziali, culturali di altre associazioni; fra l’altro episodiche manifestazioni di simili interventi già avvengono da parte delle contrade. Si tratta di incidere nella vita della città, realmente; pur nelle forme e nei modi che la tradizione paliesca saprà portare alla luce. Il Palio e la vita delle contrade ora sembra ingessata; la crisi di partecipazione è tangibile in più contrade. Non è nemmeno più il Palio di una volta, quando si facevano degli scherzi, delle burle, tra le varie contrade (spariva il fantino della contrada avversaria; si "rapiva" la castellana del vicino maniero; si mettevano centinaia di rane dipinte di giallo-verde nella fontana di piazza San Magno, ecc. ecc.). Legnano sta cambiando dal punto di vista sociale, urbanistico, occupazionale. Possa il Palio essere interprete di queste trasformazioni. Come? Non sta a noi dirlo in modo circostanziato, ma indubbiamente rendere la corsa dell’ultima domenica di maggio meno uno sforzo economico e più una partecipazione di popolo, di competizione cittadina sarebbe un grande passo avanti. Questo potrà dispiacere qualcuno, ma limitare i costi dei fantini, che si sono arricchiti in tutti questi anni di Palio, ed investire piuttosto parte di quel denaro nella vita e nella crescita civile e morale della città. Il Palio così sembrerà meno una tifoseria da stadio e più un organismo vivente, sincero, non legato solo all’ultima domenica di una tarda primavera.
Antonio F.Vinci