SOMMARIO DELLA SEZIONE:
- L’INFOIBATORE TITO LI DERUBO’: NON DIMENTICHIAMOLI!
- I MASSACRI COMUNISTI? SUVVIA, NON FACCIAMO STORIE
La tragedia cominciò nel ’43 con i massacri anti-italiani delle bande del maresciallo Josip Broz
L’INFOIBATORE TITO LI DERUBO’: NON DIMENTICHIAMOLI!
La battaglia degli esuli per la restituzione dei beni confiscati o nazionalizzati dalla Jugoslavia
"Non vogliamo indennizzi bensì la restituzione di quei beni comunemente definiti ’abbandonati’, ma in realtà confiscati ai loro proprietari che fuggirono da Istria, Venezia Giulia e Dalmazia divenute jugoslave, su treni, carri, piroscafi e barche a remi, portando con sé, insieme alle poche masserizie, un pesante fardello di strazio per la patria perduta". Questo pensano quelli dell’Ades (www.adesonline.com ); l’Associazione discendenti degli esuli, rifiutati dalla Federazione nazionale che raggruppa le varie associazioni della diaspora giuliano-dalmata e dalla quale si sentono poco rappresentati. L’Ades, composta per lo più da giovani, rispetto al problema della restituzione dei beni degli esuli è su posizioni intransigenti: rifiutano ogni "soluzione sbrigativa" che non soddisfi in pieno le aspettative di tutta la gente dell’esodo. Ma ripercorriamo le vicende delle genti adriatiche cacciate dalle proprie terre. Dal 1943 cominciarono le violenze, i massacri perpetrati dalla feccia del maresciallo Josip Broz, "in arte" Tito, con la partecipazione delle bande partigiane comuniste nostrane. Ma non era che l’inizio di una lunga stagione di sofferenza che attraverserà più di mezzo secolo: a cominciare dal Trattato di pace, del 1947, che impose all’Italia la cessione alla Jugoslavia di quasi tutta la Venezia Giulia oltre che la zona di Zara, in Dalmazia, mentre le zone del "Territorio libero" di Trieste erano rispettivamente amministrate dagli angloamericani e dalla Jugoslavia.
Nei primi anni ’50 le manifestazioni per l’italianità di Trieste sono fiumi ribollenti di rabbia e orgoglio. Il 5 novembre 1953 il comportamento filoslavo del generale Winterton suscita vasto risentimento fra la popolazione. Un gruppo di aderenti e militanti della Giovane Italia, che manifesta per l’Italia presso la chiesa di S. Antonio nuovo, subisce una cieca aggressione da parte della Polizia. La chiesa viene invasa e decine di persone rimangono ferite. Cadono sotto il piombo della polizia titina Piero Addobbati e Antonio Zavadil militanti della Giovane Italia. Il giorno dopo la polizia attacca di nuovo i manifestanti e uccide un altro giovane, Francesco Paglia. Ma la mattanza non è finita e nello stesso giorno i comunisti agli ordini del comando inglese uccidono Erminio Bassa, sindacalista della nascente CISNAL, Saverio Montano e Nardino Manzi, di soli 15 anni.
Soltanto nel 1954 Trieste (zona A) torno all’Italia, mentre la zona B restava sotto l’amministrazione jugoslava. A questo punto il maresciallo Tito dà il via ad una nuova stagione di prepotenza: espropri, nazionalizzazioni e confische spogliarono dei propri beni gli italiani delle province rimaste jugoslave. L’esodo fu la dolorosa e inevitabile scelta di chi non aveva nessuna intenzione di provare la vita nel "paradiso" comunista. È da questo momento che ha inizio la sconfortante pagina delle trattative che vede protagonista il governo italiano, il quale si dimostra così arguto da giudicare i beni "abbandonati". Così i governanti di Roma provvedono a cedere al regime di Tito gran parte di quelle proprietà a titolo di risarcimento dei danni di guerra. Nel 1975 si giunge ad una nuova vergogna, forse la peggiore, il Trattato di Osimo, con cui l’Italia rendeva legale anche l’annessione alla Jugoslava della Zona B, ossia la punta nord-occidentale dell’Istria con le città di Pirano, Isola e Capodistria. Nell’83 ci fu un nuovo accordo, soltanto dopo il quale si arriva a capire che l’Italia aveva dato troppo a Belgrado e che era la Jugoslava ad essere nostra debitrice per 110 milioni di dollari di allora. Di quella cifra solo 17 milioni di dollari vengono pagati. Il resto è passato a carico dei nuovi Stati sorti nel 1991 dopo lo smembramento della Jugoslavia. Slovenia e Croazia decidono quindi di dividere il debito, rispettivamente 62 e 38 per cento, con un’iniziativa ritenuta inaccettabile dall’Italia. La questione rimane aperta e il dibattito pure in attesa che l’attuale governo si muova concretamente. Forse qualcuno si aspettava che Alleanza nazionale facesse il "diavolo a quattro" sul problema ed è rimasto deluso. Chi ha evitato giustamente di usare altre volte l’odioso termine "tradimento" avrebbe tutto il diritto di farlo, se la destra italiana mollasse questa battaglia. Ma, dicevamo, del caso si discute. L’avvocato Sinagra, docente di diritto della Comunità europea all’Università La Sapienza di Roma, già titolare della cattedra di diritto internazionale a Trieste, Genova e Chieti, ha presentato un suo lavoro sui beni degli esuli compiuto con la collaborazione di diversi esperti. "Il punto di vista che si esprime - spiega Sinagra - tende a porre in evidenza che il problema non è tanto quello di far valere l’operatività della clausola rebus sic stantibus, cioè a dire che quella sistemazione com’è avvenuta con il Trattato di pace e con gli accordi successivi tra Italia e Jugoslavia del ’49, del ’75 e dell’’83 non è più valida perché sono mutate radicalmente le circostanze a seguito della dissoluzione della Jugoslavia stessa. Secondo il nostro punto di vista - prosegue lo studioso - il problema è che tutti gli accordi immediatamente successivi al Trattato di pace e fino a prima del Trattato di Osimo, in particolare l’accordo italo-jugoslavo del ’49, sono accordi nulli per radicale difetto del consenso da parte del Governo italiano, nel senso che la Jugoslavia già prima del Trattato di pace aveva posto in essere delle condizioni di fatto, sui territori da essa controllati, che impedivano l’esecuzione del Trattato di pace". Secondo l’avvocato Sinagra la tesi del mutamento radicale delle circostanze può essere sostenuta parlando degli accordi di Osimo del ’75 e quello che dopo è seguito, visto che gli indennizzi non sono stati pagati. "A quegli accordi va fatta valere la clausola rebus sic stantibus e quindi la modifica radicale delle circostanze", dice, sottolineando però come tali sforzi giuridici non possono avere successo in assenza di una volontà del Governo italiano a negoziare adeguatamente nei confronti di Croazia e Slovenia. "Occorre che ci sia un Governo - sostiene Sinagra - che abbia capacità, volontà, intendimenti sani per far valere le ragioni non soltanto riferite ad un modo di essere di un sentimento nazionale, ma anche le ragioni di tanta povera gente che ha perduto la casa, che ha perduto terreni e lavoro". Ci troviamo davanti dunque ad una questione importante che deve toccare gli animi di chi guida il nostro Paese. Sappiamo che il ministro Tremaglia, uomo raro, è notevolmente sensibile su questi argomenti e ci auguriamo che altri ne seguano l’esempio e si diano da fare per rendere giustizia a chi la attende da più di cinquant’anni. È una buona occasione: fate "qualcosa di destra"!
Fabio Pasini
I MASSACRI COMUNISTI? SUVVIA, NON FACCIAMO STORIE...
Ovvero quando la verità finisce nelle cavità carsiche della scuola vetero-resistenziale
ELEMENTI DI STORIA XX SECOLO di Augusto Camera e Renato Fabietti IV edizione Zanichelli - Pagg. 1564-1566
"L’8 settembre 1943, nel vuoto di potere determinato dallo sfacelo dello Stato Italiano, furono uccise, soprattutto in Istria 500/700 persone. Per quanto gravi, quei fatti non corrispondevano però a un disegno politico preordinato: essi furono piuttosto la conseguenza di uno sfogo dell’ira popolare sloveno-croata contro gli italo-fascisti, paragonabile alla strage di fascisti perpetrata nel Nord Italia dopo il 25 aprile, nella quale certo non intervennero motivazioni etniche di nessun genere". [ ] "Noi non abbozzeremo un bilancio degli ’infoibati’ e dei soppressi in vario modo e in varie circostanze, in primo luogo e soprattutto perché le cifre fornite dalle varie fonti sono disparate e malcerte; in secondo luogo perché l’abitudine invalsa di usare come argomento politico il cumulo dei cadaveri gravante sulla coscienza di questo o quel partito ci sembra disgustosa". [ ] "Altrettanto inammissibile ci sembra il fatto che osino chiedere conto della ferita sofferta dall’Italia nelle sue regioni nord-orientali coloro che di tale ferita sono stati i primi responsabili o coloro che di tali primi responsabili si dichiarano eredi e continuatori".
L’ETÀ CONTEMPORANEA di P. Ortoleva e M. Revelli per Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori - Nuova Periodizzazione
Per questo testo le foibe non sono mai esistite e non vi si cita nemmeno il Trattato di Osimo. Non parla del triangolo rosso né di alcuna condotta "discutibile" da parte dei partigiani comunisti.
MANUALE DI STORIA 3 - L’ETA’ CONTEMPORANEA A. Giardina, G. Sabbatucci, V. Vidotto per Editori Laterza Nuova edizione aggiornata - Pagg. 763
"Certo, la questione di Trieste e della Venezia Giulia rappresentò nel primo decennio postbellico la ferita più dolorosa fra quelle lasciate aperte alla guerra. Il contrasto fra italiani e slavi - esasperato durante il fascismo dalla dura repressione contro le minoranze etniche condotta dal regime - era riesploso alla fine della guerra, nelle zone occupate dagli jugoslavi, con una serie di sanguinose vendette contro gli italiani, culminate nell’esecuzione di alcune migliaia di persone, gettate nelle foibe (profonde fosse naturali del Carso)".
STORIA E STORIOGRAFIA. Il Novecento: dall’età giolittiana ai giorni nostri. Antonio Desideri - Mario Themelly - Casa editrice G. Anna Messina - Firenze Non una riga sulle foibe e non ritiene opportuna la benché minima citazione del Trattato di Osimo. Risultano dal testo totalmente immacolate le bande partigiane.
Fabio Pasini